lunedì 28 aprile 2014

Martha Graham

Susanne Franco, MarthaGraham, Palermo, L’Epos, 2003.

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Gli studi critici su Martha Graham stanno finalmente prendendo il via. Di recente, in lingua inglese, sono stati pubblicati due volumi importanti, Martha Graham in Love and War (2012) di Mark Franko e Martha Graham – Gender & The Haunting of a Dance Pioneer (2013) di Victoria Thoms. A parte questi testi, la maggior parte degli studi su di lei in forma di libro si sono concentrati su di una prospettiva biografica. Un’eccezione è emersa prima di questi due studi che ha contribuito a dare un’impronta diversa a quelli che potremmo (anzi dovremmo)  definire i Graham Studies. Si tratta della monografia critica in italiano di Susanne Franco, pubblicata per la prima volta nel 2003 e ristampata nel 2006. Intitolata semplicemente Martha Graham, analizza l’opera della coreosofa statunitense seguendo dei concetti-chiave come politica, sesso e religione che servono a tracciare dei percorsi critici lungo la fertile produzione grahamiana. Non è un testo semplice per chi è digiuno di studi critici e teorie di genere, ma è un testo importante perché ci mostra Graham secondo una prospettiva critica complessa, senza ridurla sempre e solo a mito inossidabile.

Il testo si apre con un’accurata introduzione a Graham in un contesto, quello della rivoluzione operata da Isadora Duncan e altri esponenti della cosiddetta “danza libera”, caratterizzato da un cambiamento fondamentale nella concezione del corpo in movimento, che non viene più considerato “come un’entità prelinguistica e pre-culturale, ma come l’espressione di convenzioni culturali”. Franco aggiunge che “ogni tecnica di danza non soltanto esprime le relazioni esistenti tra corpo e società, ma anche le opinioni che all’interno di un preciso orizzonte culturale si formano in merito agli scopi di quest’arte”. La tecnica Graham si sviluppa, in questo senso, a partire dal corpo di Graham, dal suo vissuto, dalle sue esperienze, dal suo bisogno di esprimersi in un mondo pieno di forti cambiamenti. È stato il frutto di una costante sperimentazione che, assieme all’insegnamento e alla pratica coreografica, ha poi portato a quella grammatica del corpo che conosciamo oggi. Movimento base è l’alternarsi della contraction-and-release, la contrazione e la distensione del torso in base alle quali le altri parti del corpo poi si muovono. Franco tratta delle figure importanti che hanno contribuito allo sviluppo della coreosofia grahamiana, come Ruth St. Denis, la sua insegnante di danza presso la scuola Denishawn, Louis Horst, il musicista, compositore, mentore e per un periodo anche amante, John Martin, il giornalista critico di danza del New York Times, ed Erick Hawkins, danzatore col quale ebbe una duratura relazione e che poi sposò (a dal quale divorziò). Enumerate sono anche le prime coreografie e i primi capolavori, come Lamentation (1930), Primitive Mysteries (1931) e American Document (1938).

La seconda parte è, principalmente, incentrata sulla politica in riferimento a Graham, fatto questo che può sembrare inappropriato, ma che trova nella sua produzione degli anni Trenta, un’interessante e acceso dibattito sulla danza. È in questo periodo che prende il via un nuovo rapporto fra danza e politica con la New Dance Group, che proponeva un tipo di danza impegnata che riflettesse la difficoltà dei tempi. Fra i suoi membri vi erano anche danzatori della Compagnia di Graham, come Jane Dudley che compose l’assolo Time is Money (1934) danzato sulle parole dell’omonima poesia di Soul Funaroff. Siamo nel decennio che segue la Grande Depressione, decennio permeato dalla paura del comunismo che, nel dopoguerra, con il senatore McCarthy, si tramuterà in una vera e propria caccia alle streghe. Questi danzatori appartenevano alle file della sinistra radicale e intendevano avviare una rivoluzione attraverso la danza, puntando su di uno stile di movimento semplice e su contenuti forti. A sostenere questi propositi vi erano anche delle riviste, come il New Masses che, ad un certo punto, coinvolse direttamente Graham nel dibattito. Graham, infatti, era già divenuta una presenza importante nel panorama della danza del tempo e nei suoi lavori si era spesso concentrata sul rapporto fra individuo e società con uno stile e tecnica fortemente marcati. Per questo fu accusata di eccessivo formalismo e di non abbracciare la causa della sinistra. Graham non intendeva impegnarsi esplicitamente in queste questioni, ma il dibattito la influenzò nella creazione di alcune coreografie, come lo splendido assolo Deep Song (1937), ispirato alla Guerra Civile Spagnola.

La terza parte si occupa della fase successiva della produzione grahamiana, con un accento particolare rivolto ai suoi ritratti femminili, ritratti che assumono man mano un carattere profondamente introspettivo e che si rifanno a figure letterarie, bibliche e mitologiche. È di questo periodo la coreografia Letter to the World (1940), dedicata ad Emily Dickinson, o anche Deaths and Entrances (1943) ispirata alle sorelle Brontë, Herodiade (1944) che riprende una poesia di Mallarmé, Seraphic Dialogue (1955) dedicata a Giovanna D’Arco, Embattled Garden (1958) ispirata ad Adamo ed Eva e così via. Franco sottolinea come “in questa costante tensione tra ribellione ai tradizionali canoni della femminilità e accettazione di un destino che faceva quasi sempre soccombere le eroine davanti al dominio maschile, si è posta (…) gran parte della sua produzione degli anni Quaranta e Cinquanta”. In questo filone si inserisce anche la versione che Graham compone del Rite of Spring (1984), coreografia culto del Novecento creata da Vaslav Nijinsky nel 1913 e reinterpretata da numerosissimi coreografi dopo di lui. Anche in questa visione, Graham pone la sua interpretazione significativa che mette al centro una protagonista femminile lacerata dalla paura e dal tormento.

La quarta parte è dedicata allo spazio della scrittura, spazio troppo spesso ignorato dai critici. Danzatori e coreografi, infatti, spesso lasciano volumi e quaderni di notazioni e appunti che sono uno strumento a volte preziosissimo per capire la loro visione. E Graham eccelse anche in questo con i suoi Notebooks, serie di annotazioni di vario tipo che vennero pubblicate nel 1973. A corredare questa parte vi è un excursus sul rapporto fra danza e altre arti, come la musica, la scenigrafia e i costumi.

La quinta parte è dedicata alla controversa battaglia legale che è scoppiata dopo la sua morte. Designando come unico erede il suo braccio destro degli ultimi anni, Ron Protas, poco esperto della sua tecnica come del suo repertorio, Graham ha di fatto messo a rischio la preservazione del suo lavoro per le generazioni future. Il Martha Graham Center ha però ingaggiato una battaglia dalla quale è uscito quasi del tutto vincitore e la Compagnia è ora in grado di sfoggiare quasi tutti i capolavori creati dalla sua fondatrice. “A chi appartiene la danza?” si chiede Franco. È questa una domanda ancora senza risposte certe e che alcune grandi Compagnie internazionali, come quella di Antonio Gades e di Merce Cunningham, stanno gestendo a modo loro.

Chiude il testo una serie di apparati che includono una breve delineazione della vita di Graham, una sezione iconografica, una ballettografia, una videografia e una bibliografia essenziale.

28 aprile 2014