venerdì 6 dicembre 2019

Alberto Spadolini - Galeotto fu il lenzuolo

Marco Travaglini, Alberto Spadolini – Galeotto fuil lenzuolo. Arte, amore e spionaggio nella Parigi Anni Trenta, youcanprint.it, 2019. 


Non è facile scrivere di Alberto Spadolini: il suo archivio comprende documenti eterogenei, come articoli in differenti lingue (fra cui il francese e il fiammingo) e fotografie che non è semplice inserire nel percorso della sua carriera. Marco Travaglini, suo nipote e biografo, ha rinvenuto materiale sullo zio sin dal 1978 e lo ha studiato almeno dal 2004. Grazie a lui la vita di Spadolini è emersa dalle nebbie dell’oblio. Alberto Spadolini – Galeotto fuil lenzuolo. Arte, amore e spionaggio nella Parigi Anni Trenta è l’ultimo libro di Travaglini, un romanzo basato, per la maggior parte, su documenti. Il titolo fa riferimento al debutto di Spadolini come danzatore, avvenuto nel 1932. Non avendo un costume, scelse un lenzuolo che fu notato per l’originalità. In molte fotografie, compreso il raffinato ritratto fattogli da Dora Maar e scelto come copertina del libro, Spadolini indossa diversi tipi di tessuti (sciarpe, mantelli, ecc.) a mo’ di ornamento, forse come ricordo di quel debutto.

Spadolini (1907-1972) è stato un famoso danzatore di music-hall nella Parigi degli anni Trenta e, in seguito, un apprezzato pittore, in Francia e all’estero. Fu anche cantante, attore, decoratore, restauratore e regista.

Travaglini apre il libro citando un altro romanzo dedicato a Spadolini, Il Gioco di Spadò di Augusto Scano, pubblicato nel 2015. Spadolini sta morendo in un ospedale e qualcuno (la Morte? Un amico?) gli chiede se desidera danzare e lo invita a farlo come non ha mai fatto prima. È questa un’introduzione significativa in quanto, come ho avuto modo di sottolineare nel 2007, la danza rappresenta un filo rosso nella carriera di Spadolini, anche dopo che smise di danzare, dato che ritorna costantemente nei suoi quadri.

La narrazione è suddivisa in due filoni principali: uno ambientato nel 2015 e dedicato al personaggio fittizio di Dora, italiana americana che ha un dottorato in arte rinascimentale e alla quale viene assegnato il compito di scrivere un libro sulla danza nella Parigi degli anni Trenta; l’altro incentrato sulla vita di Spadolini che va dagli anni Venti agli anni Settanta. La casa editrice di Dora le chiede di trovare “una chiave, un protagonista, qualcosa o qualcuno che possa diventare il soggetto del libro”. Sorpresa, Dora scopre l’esistenza di una figura sconosciuta che porta il suo stesso cognome, “ Josephine Baker e… Spadolini? Ma è il mio stesso cognome!”. Così ha inizio la sua avventura alla ricerca di Spadolini che la condurrà in Italia e in Francia, in compagnia di un archivista di nome Maurizio.

La vita di Spadolini scorre tra le pagine tramite dei flash-back regolari che spostano l’azione a quando l’artista incontrò Gabriele D’Annunzio e Anton Giulio Bragaglia nell’Italia degli anni Venti, quando divenne famoso danzatore nella Francia degli anni Trenta, quando danzò di fronte a Hitler nel 1940, quando si esibì con Walter Chiari in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale e così via fino agli ultimi anni.

Molti di questi flash-back si distinguono per il loro interesse storico. Per esempio, il collegamento Spadolini-D’Annunzio pone diverse riflessioni. Da un lato lo storico Giordano Bruno Guerri lo considera probabile, ma dall’altro sottolinea il fatto che non ci siano fonti al riguardo. In realtà le fonti ci sono, ma non provengono dal periodo in cui i due si sarebbero conosciuti, ossia gli anni Venti [1], bensì da molto dopo, il 1971, quando Philippe Jullian pubblica la sua biografia sul poeta italiano. Forse Guerri fa riferimento alla mancanza di fonti primarie (appunto più vicine al tempo dell’avvenimento) e non alla presenza di quelle secondarie come è quella di Jullian. Un dibattito sulle fonti ci poterebbe troppo lontano, ma possiamo brevemente ragionare su questa.

Jullian ringrazia Spadolini nella pagina dei ringraziamenti ma non lo nomina nell’episodio che riguarda l’incontro col poeta al Vittoriale. Ci si chiede il perché. Spadolini forse gli chiese esplicitamente di non scrivere il suo nome? E perché lo avrebbe fatto? Jullian non era uno scrittore qualsiasi: nato come illustratore, aveva scritto diversi romanzi per poi dedicarsi alla storia dell’arte e allo studio biografico. Il suo libro sul Simbolismo, Esthètes et Magiciens, aveva contribuito alla sua riscoperta ed era stato tradotto in inglese. Diversi suoi libri, compreso quello su D’Annunzio, sono stati tradotti in italiano. All’incontro fra Spadolini e D’Annunzio dedica un paio di pagine che non rappresentano un aspetto fondamentale della vita di D’Annunzio e neanche una porzione sostanziale del libro: avrebbe potuto semplicemente toglierle, ma non lo fece. In aggiunta, come già specificato dallo stesso Travaglini, questa fonte è stata confermata da Patrick Oger, che conosceva Spadolini bene.

Considerando Jullian da un’altra prospettiva, potremmo guardare a ciò che egli in realtà non dice. Infatti quando ringrazia Spadolini, lo chiama “il celebre ballerino” senza dire nulla sui suoi dipinti. Perché? Mostre sui quadri di Spadolini erano state organizzate sin dagli anni Quaranta, qual è la ragione di questa omissione? Al momento non è chiaro, ma sappiamo che Spadolini teneva molto ai suoi quadri già negli anni Venti, quando studiava arte a Roma.

Uno dei suoi primi dipinti più importanti fu un San Francesco, completato nel 1925. A quel tempo Spadolini non aveva la possibilità di tenere il quadro al sicuro con sé a Roma e lo portò ad Ancona presso la casa dei genitori. Purtroppo suo padre Angelo, che aveva rifiutato di aderire al Partito Fascista, aveva perduto il lavoro e decise di venderlo. Quando lo scoprì, Spadolini si arrabbiò molto. Tentò di rintracciare il dipinto e scoprì che era stato venduto ad una chiesa statunitense di Bradford, New York. Quando andò in tournée negli Stati Uniti, assunse un fotografo per far fare una foto all’opera e questo è tutto ciò che abbiamo oggi di quel quadro. Il suo attaccamento emerge anche dalla decisione di diventare terziario francescano, probabilmente dopo la Seconda Guerra Mondiale. Travaglini dedica una pagina intensa alla devozione dello zio per il santo, citando le sue stesse parole: “Francesco mi ha insegnato a dare per la gioia di dare, a sentirmi felice di quanto possiedo, a considerare i ricchi come i veri poveri perché spesso sono poveri nello spirito e nell’anima”.

Le parole di Spadolini tornano in altre parti del libro, come accade per il suo articolo del 1935, “Impressioni d’America” che Travaglini aveva ripubblicato anche nel suo libro del 2012, Spadò – Il danzatore nudo. Spadolini parla degli Stati Uniti dopo esser tornato da una tournée, “una città americana si mostra come un esempio continuo della velocità umana”. Fa il confronto fra i music-hall parigini e quelli statunitensi, sottolineando la fama della capitale francese, “in generale, quando la produzione mostra l’etichetta francese è alle stelle”. Critica inoltre il razzismo nordamericano, dopo aver invitato l’artista nera Alma Smith a cena con lui ed aver notato l’“indicibile repulsione tanto verso la razza gialla che quella nera”.

Dora e Maurizio scoprono informazioni su Spadolini grazie a questi e a molti altri documenti, commentandoli e formulando domande sulla sua vita. In questo senso, il libro di Travaglini si occupa tanto della figura di Spadolini quanto dell’atto complesso di scrivere un libro su di lui. A tal proposito un altro personaggio emerge tra le pagine, un blogger che pubblica articoli poco attendibili su Spadolini. Il suo lavoro, ispirato ad un libro esistente, Alberto Spadolini – Danzatore, pittore, agente segreto di Ignazio Gori, mostra la grande differenza tra uno studio lungo quattordici (e più) anni, come è il libro di Travaglini, e la prospettiva di Gori, dove i ritrovamenti di Travaglini (a cominciare dallo scatolone del 1978) vengono menzionati senza fare riferimento alla fonte e dove la copertina, che presenta una foto di Spadolini al contrario (cosa dovrebbe pensare la gente che la vede? Che Spadolini danzasse a testa in giù?), già da sola dà l’idea della mancanza di professionalità del testo. Peggio ancora, il libro viene descritto come lo ‘studio’ che restituisce “il giusto peso alla sua [di Spadolini] opera”, dando così vita ad una falsità tra coloro che non sanno nulla né di Spadolini né di Travaglini, un atto molto grave e privo di rispetto. Attraverso il personaggio del blogger, Travaglini mette in discussione e decostruisce il libro di Gori, restituendo al lavoro di ricerca che ha condotto nel corso degli anni e allo zio il rispetto che meritano, “‘Il tuo blogger’- si accalorò Dora - ‘allude a qualcosa, ma quali prove porta?’. ‘Nessuna!’, rispose Maurizio”.



NOTA
[1] Esiste una fonte indiretta del periodo che attesta la presenza di Duilio Cambellotti al Vittoriale. Secondo Pierfranco Andreani, che scrisse una breve introduzione biografica all’interno dell’opuscolo sulla mostra romana di Spadolini del 1967, Spadolini divenne allievo di Cambellotti mentre studiava presso l’Accademia di Belle Arti della capitale. È quindi plausibile supporre che lo accompagnò al Vittoriale.


6 dicembre 2019