martedì 7 ottobre 2014

Fang-Yi Sheu nel ruolo di Colei Che Danza in Letter to the World di Graham

Fang-Yi Sheu è una delle più raffinate danzatrici Graham della sua generazione. Non è più membro della Graham Company ma spesso torna in qualità di artista ospite. Il 6 agosto del 2011 presso il Gerald Ford Amphitheatre ha danzato l'assolo di apertura di Letter to the World di Graham, ricostruito dal direttore artistico della compagnia Janet Eilber. Qui il link alla registrazione video fatta da Sergei Krasikof.

È un video molto prezioso in quanto fornisce un'idea di come il pezzo potrebbe essere oggi. La Graham Company, infatti, non lo ricostruisce e presenta dal 1988 e l'unico video disponibile al pubblico è in bianco e nero e custodito alla New York Public Library for the Performing Arts, con un'incredibile Pearl Lang nel ruolo da protagonista.

Questo assolo presenta il personaggio principale come una viviace ragazza senza espereinza alla ricerca della sua strada. Ella si muove in direzioni differenti, corre, si ferma e si muove di nuovo. Danza alcuni splendidi salti girati che vengono sottolineati dall'ampia gonna. Piega poi il torso in avanti diverse volte e danza una breve sezione alla panchina (durante la coreografia tornerà alla panchina in più di un'occasione). È una vera gioia guardare questa parte a colori (per la mia ricerca ho studiato il video in bianco e nero)!

Vi sono variazioni e cambiamenti qua e là in questo assolo riadattato che si pone, però come una coreografia squisita danzata in modo molto preciso da Fang-Yi Sheu. Allo stesso tempo, è importante ricordare da dove viene questo pezzo. Come si è detto rappresenta la prima danza di Colei Che Danza che, un attimo prima, si trova accanto a Colei Che Parla, la cui presenza viene solo evocata da questo rifacimento attraverso i versi dickinsoniani: "Non sapendo quando l'alba verrà / apro ogni porta", tratti dalla poesia 1619. La presenza di Colei Che Parla è strumentale per lo sviluppo della coreografia. Ella incarna l'altra Emily, l'Emily che parla e che si muove in modo più cauto rispetto a Colei Che Danza, seppure con la medesima forza. E i versi sono anch'essi molto importanti in quanto tracciano l'evoluzione del "viaggio interiore" di Colei Che Danza. L'espressione "viaggio interiore" veniva utilizzata da Graham stessa per esprimere questo particolare stato dell'anima.

Sono davvero contenta di questo breve passaggio coreografico e spero che Letter to the World venga presto ricostruita per intero.


Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese nel mio altro blog, qui il link.

7 ottobre 2014

Il toro, la mucca, il ritmo e la danza

TOROBAKA DI ISRAEL GALVÁN E AKRAM KHAN 
Romaeuropa Festival, Auditorium della Conciliazione, Roma, 25 Settembre 2014, ore 21

Khan and Galván, foto Jean Louis Fernandez.
Ci sono un toro e una mucca ('toro' e 'baka' nel titolo), violenza e pace, flamenco e kathak e c'è un po' di Spagna e India in Torobaka di Israel Galván e Akram Khan, spettacolo che ha aperto il festival Romaeuropa 2014. Secondo gli stereotipi la Spagna viene associata al flamenco e ai tori e l'India al kathak e alle mucche, ma questa coreografia è molto di più, in quanto ci porta in una dimensione dove l'eccellenza, l'ironia, l'intensità, il confrontarsi e il ritmo si mescolano in una performance superba.

Innanzi tutto il flamenco del coreografo e danzatore spagnolo Israel Galván è e non è flamenco, è piuttosto uno stile fenomenale che lo decostruisce dal didentro, spezzandone le linee e portando la sua natura percussiva a livelli quasi aerei. Poi vi è il kathak di Khan, che nel suo provocatorio lavoro coreografico, viene reinventato e miscelato con la danza contemporanea, fornendo un senso di appartenenza e una qualità tridimensionale al corpo in movimento.

Ecco già che le immagini iniziali di toro e mucca si sono sgretolate, perché Torobaka ha sì a che fare con l'incontro con l'Altro, ma è anche un oltrepassare simboli e stereotipi per raggiungere il ritmo pulsante in cui noi tutti viviamo. Possiamo chiamrlo un duetto? Galván e Khan sono i soli due danzatori sul palco e interagiscono molto fra loro, però il termine 'duetto' ha solo senso se lo moltiplichiamo, trasformandolo in una serie stratificata di altri che giocano un ruolo fondamentale nel pezzo: mi riferisco ai due musicisti, Bobote e B. C. Manjunath, ai due cantanti, David Azurza e Christine Leboutte e al ritmo e produzione di suoni.

La coreografia è suddivisa in varie sezioni e ha luogo su di un palco che in parte è coperto da una piattaforma circolare circondata dai musicisti e cantanti. All'inizio Galván e Khan sono entrambi scalzi mentre si affrontano, esplorando spazio e suono. Indossano lo stesso costume, una tunica che richiama il kathak e pantaloni aderenti che riportano al flamenco. Perfetto è il 'dialogo' fra
l'articolazione dei piedi di Galván e le percussioni di Manjunath.


Azurza, Galván, Leboutte, foto Jean Louis Fernandez.
Poi Galván indossa le sue scarpe di flamenco e danza un assolo al di fuori del cerchio, in avanti sulla destra, con un microfono. Di nuovo Manjunath è il suo alter ego che gioca con i movimenti di lui come Galván gioca con i suoni vocali di Manjunath. L'ironia è l'aspetto che emerge con più forza nella danza di Galván, irresistibile è il momento in cui punta il dito in alto esclamando "E.T. telefono casa". Questo è flamenco con piglio comico! Quando danza lo zapateado (movimento dei piedi nel flamenco) dentro il set di campane kathak di Khan, sappiamo che un cambiamento sta per avvenire e che Khan entrerà in scena.

Nella terza sezione Khan è a terra con un paio di scarpe di flamenco bianche sulle mani. Le suona sul palco, una contro l'altra alternando il loro suono con quello prodotto dalle sue ginocchia e testa. È come se il suono scorresse attraverso il suo corpo e potesse essere creato da qualsiasi cosa egli abbia o sia. Al posto dell'ironia di Galván qui abbiamo una densità profonda del movimento, persino quando Khan si diverte a 'dialogare' con Bobote che gli prende le scarpe di flamenco dalle mani per gettarle nelle quinte e iniziare a suonare las palmas (il battere delle mani del flamenco) provocando Khan. E Khan si siede su di una sedia e danza un assolo da seduto.

A questo punto i cantanti e musicisti si muovono al centro del palco in un ensamble di alta levatura. I cantanti Azurza e Laboutte sono impeccabili durante tutta la coreografia, cantando canzoni da tradizioni differenti come quella italiana e spagnola. In qualche parte sembrano rallentare il ritmo della danza, creando uno sbilanciamento inusuale, ma la loro bravura è ineccepibile per lo sfondo sonoro dei due performer.

L'ultima sezione è un'esplosione di movimento, suono e ritmo con Khan in totale simbiosi con le percussioni di Manjunath grazie alle sue ghungru (campane alle caviglie) che risuonano per tutto il teatro. Il ritmo è un elemento chiave in questo lavoro, un terreno comune per entrambi i danzatori. Da un punto di vista storico è difficile tracciare una via chiara che colleghi flamenco e kathak, ma, secondo alcuni, i gitani lasciarono l'India per viaggiare attraverso il Medio Oriente e l'Europa fino ad arrivare in Spagna. A questo proposito torna alla mente uno splendido documentario, Lacho Drom (1993) di Tony Gatlif dove vi sono pochi dialoghi, poiché il ruolo principale è dato dal ritmo della musica e della danza.

Khan, foto Jean Louis Fernandez.
Come spesso accade scopriamo che ciò o chi avevamo considerato l'Altro da noi è molto più simile a noi di quanto ci immaginavamo, è un animale che ci piace, una persona alla quale ci affezioniamo. In Torobaka vi sono due tipi di gesti che mi sono restati in mente e che si collegano a quanto appena detto, le mani giunte che sia Galván che Khan mostrano in più di un'occasione, puntandole verso il basso, verso il palco/terra dal/la quale così tanto del loro ritmo energetico proviene e i loro abbracci e il toccarsi che dimostra il loro legame artistico. Secondo Galván occorre uccidere il pubblico prima che il pubblico uccida te, questo il suo particolare motto che ci parla dell'elemento violento e aggressivo del flamenco, mentre la danza di Khan è come un'offerta, un dono che si fa al pubblico, come la mucca dona il latte al mondo nella religione induista. Di nuovo il toro e la mucca, la violenza e la pace che in Torobaka si tramutano in un dono così squisito che virtualmente uccide.
  
7 ottobre 2014