giovedì 30 luglio 2020

Anima animata


Cos’è la danza se non un’anima che si muove nello spazio e nel tempo? Nel 1921 Paul Valèry pubblicò un breve scritto a proposito intitolato L’anima e la danza organizzato come dialogo fra tre personaggi: Socrate, Erissimaco e Fedro. Fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, diversi scrittori e artisti come Stéphane Mallarmé e Henri de Toulouse-Lautrec dedicarono la loro attenzione alla danza. Il lavoro di Valéry si inserisce appieno in questo filone.

Se l’inizio del dialogo verte sull’anima, man mano che i tre uomini propongono il loro punto di vista, il discorso si sposta sul “misterioso moto che col giro d’ogni evento” ci trasforma in noi stessi. Poi quasi di seguito arriva il primo degli spunti sulla danza, “la vita è una donna che danza”. Quasi per magia giunge un “coro alato” di danzatrici capeggiate da Athiktè, “la palpitante”.

Per alcuni versi, nel libro emergono sfumature discriminatorie contro uomini e donne, come quando Erissimaco definisce l’unico danzatore brutto o Socrate si chiede se una danzatrice sia sciocchina. Inoltre, Valéry, seguendo Mallarmé, idealizza la danza e si concentra sulla ballerina senza porre attenzione alla questione coreografica.

Per altri versi, però, le riflessioni in dialogo pongono questioni particolarmente care all’arte coreutica. Per esempio, Rhodonia, una delle danzatrici, viene chiamata “mostro flessuoso”, quasi a sottolineare la sua capacità di essere aggraziata ma anche muscolosa, poiché la danza, come già aveva capito Edgar Degas, è anche un duro lavoro.

Il dialogare si concentra poi sul camminare e quindi conoscere “un po’ meglio noi stessi”, come a dire che la danza è una forma di conoscenza. E, in seguito, Fedro “pretende che rappresenti qualcosa”, mentre Erissimaco “dice che è quel che è”, anticipando la suddivisione della danza in narrativa e non narrativa, aspetto dibattuto, sia nella danza moderna e postmoderna che neoclassica e contemporanea.

L’anima, che è così impalpabile viene accostata alla danza che si fa anch’essa “cosa incorporea. Cosa inestimabile”. Non è chiaro a che tipo di danza faccia riferimento Valéry. Vengono nominati alluci e tuniche, il che fa pensare a Isadora Duncan, ma il gruppo di danzatrici rimanda anche alle ballerine della danza classica. Terminato il libricino rimane l’eco dei ragionamenti, l’interazione fra i personaggi e l’idea che la danza sia un’anima animata.

QUI si può ascoltare la puntata


Per approfondire:

Sasportes, José, Pensare la danza – Da Mallarmé a Cocteau (Bologna: Il Mulino, 1989).

Valéry, Paul, L’anima e la danza, a cura di Aurelia Delfino (Milano: Mimesis, 2014).


30 luglio 2020

giovedì 23 luglio 2020

L'umanità secondo Martha Graham


Un uomo è un uomo e una donna è una donna, ma un uomo è anche una donna, poiché quando diciamo uomini spesso ancora intendiamo uomini e donne. E le donne? E tutto quello che ci passa attraverso? Il genere è complesso, molto più fluido di quanto pensiamo e nella danza ha mille sfumature.

Fra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento, Martha Graham, prima di diventare Martha Graham, costruì un’umanità impersonata da figure femminili. In questo periodo la sua compagnia, denominata Group, era costituita di sole donne.

Nel 1929 compose Heretic, dove interpretava una donna in bianco, sovrastata da un gruppo di donne vestite di nero. Come ci dice Susanne Franco, questa era una coreografia “contro l’intolleranza”, in cui l’eretica si muoveva in modo fluido di contro al muro di donne dai movimenti meccanici. Nel 1930 creò Lamentation dove impersonava il dolore, rivestita di un tubo di stoffa viola che annullava la sua anatomia per tramutarla in linee cinetiche. Nel 1936 fu la volta di Chronicle contro la devastazione della guerra e la depressione economica, dove, di nuovo, Graham danzava con un esercito di donne dai movimenti decisi. Nella sezione “Steps in the streets”, le danzatrici camminavano per il palco con passi cadenzati e articolavano il corpo in pose vigorose.

Ma che tipo di donna rappresentava Graham? E qui entra in gioco il come, ossia come si muovevano queste danzatrici. La tecnica che Graham stava sviluppando si concentrava sul processo di contrazione e distensione del torso a partire dalle pelvi e, secondo Franco, era rivoluzionaria nella “rappresentazione del corpo femminile”. Per Agnes De Mille, Graham proponeva figure stilizzate, superumane e senza particolare connotazione sessuale. Erano un’umanità danzante. Inoltre Graham, in questa fase, si ispirava alla propria cultura statunitense il cui ritmo definiva come “ricco, pieno, impudente, virile”.

Nel 1938 con l’arrivo di Erick Hawkins, questa prospettiva cambiò e iniziò un’altra fase, diversa, ma altrettanto rivoluzionaria. Intanto, per quasi tutti gli anni Trenta, le donne di Graham furono anche uomini e molto altro, furono un’umanità che incarnava sul palco le sue visioni fatte di astrazioni e persone, individuali e collettive, potenti, carismatiche, fiere.

QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:

Chronicle, cor. Martha Graham (1936).

De Mille, Agnes, Martha – The Life and Work of Martha Graham (New York: Vintage, 1992).

Franco, Susanne, Martha Graham (Palermo: L’Epos, 2003).

Graham, Martha, “The Dance in America”, Trend – A Quartlerly of the Seven Arts, vol. 1, n. 1, March-April-May 1932, pp. 5-7.

Heretic, cor. Martha Graham (1929).

Lamentation, cor. Martha Graham (1930).

Simonari, Rosella, Letter to the World: Martha Graham danza Emily Dickinson (Roma: Aracne, 2015).


23 luglio 2020

giovedì 16 luglio 2020

I piedi di Nijinsky


Vorrei vedere i piedi di Nijinsky, Vaslav Nijinsky. Mi piacerebbe vedere il passaggio che fanno dalla prima alla seconda posizione, vederli in relevé in quinta e spiccare un salto. È così forte oggi il feticismo che circonda il piede della ballerina con la scarpetta da punta che ci dimentichiamo dei piedi di Nijinsky. Nella danza classica gli uomini non indossano le scarpette da punta, non vanno sulle punte, quello delle punte è un reame femminile. Gli uomini sollevano le donne nei passi a due, saltano e fanno molto altro ancora, ma non vanno sulle punte.

Vorrei vedere i piedi di Nijinsky all’opera perché hanno fatto la rivoluzione del balletto nel Novecento. Nijinsky era un ballerino dei celebri Balletti Russi guidati dall’impresario Sergei Diaghilev. A Parigi portarono la loro compagnia, presentando balletti brevi di un atto e collaborando con artisti illustri come Picasso e Stravinsky. Nijinsky ebbe un ruolo di primo piano sia in qualità di danzatore che di coreografo.

Nel primo caso contribuì a reintrodurre la figura maschile nel balletto. Eh sì, perché la Francia ottocentesca aveva pressoché eliminato il ballerino dalle scene e aveva affidato i ruoli maschili alle donne en travesti. Leggendaria è rimasta l’uscita di scena di Nijinsky ne Le spectre de la rose del 1911, dove interpretava appunto lo spettro di una rosa di una fanciulla di ritorno da un ballo. Nijinsky eseguiva un salto attraverso una finestra e sembrava che volasse. Che frecce alate dovevano sembrare i suoi piedi!

Nel secondo caso, egli azzerò le basi della danza classica componendo il balletto L’Après-midi d’un faune del 1912 coi piedi in parallelo. Era la storia di un fauno e del suo incontro con alcune ninfe. Il balletto provocò uno scandalo per l’atto di autoerotismo finale. Ma la posizione dei piedi scompigliò la danza classica che si basa su cinque posizioni dei piedi roteati in fuori, per cui optare per una serie di pose statiche e passi in parallelo significava distruggere la sua struttura architettonica e proporre, come sottolinea Sergio Trombetta, un ‘bassorilievo animato’. Ecco i piedi di Nijinsky!

In entrambi i casi, Nijinsky presentò un’immagine dell’uomo che danza fuori dagli schemi, languida e ambigua la prima, erotizzata e istintuale la seconda. Vorrei vedere i piedi di Nijinsky per tutti questi motivi, dimenticandomi degli scandali che creò e soffermandomi sulla loro inusitata articolazione. Evviva Nijinsky! Evviva i piedi di Nijinksy!


QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:

Burt, Ramsay The Male Dancer – Bodies, Spectacles, Sexualities (London: Routledge, 2007).

Garafola, Lynn, Diaghilev’s Ballets Russes (Boston: De Capo Press, 1998).

Homans, Jennifer, Gli angeli di Apollo. Storia del balletto, trad. D. Fassio (Torino: EDT, 2014).

L’Après-midi d’un faune, cor. Vaslav Nijinsky (Parigi, 1912).

Le spectre de la rose, cor. Michel Fokine (Parigi, 1911).

Trombetta, Sergio, Vaslav Nižinskij (Palermo: L’Epos, 2008).


16 luglio 2020

giovedì 9 luglio 2020

Domingo



Cosa c’è nei nomi? Quali segreti vi si celano? Film, romanzi, serie TV, familiari e molto altro. Nei nomi c’è un potere evocativo che a volte sfugge ogni definizione. Pensiamo a Cassandra, Jack, Marilyn, Maria, Joyce, Amleto. Ma i nomi rivelano storie, storie importanti, a volte scomode. Prendiamo l’esempio di Domingo, che vuol dire domenica in spagnolo. Domingo è il personaggio del servo nel balletto Paul et Virginie di Pierre Gardel su musiche di Rodolphe Kreutzer. Ambientato nelle isole Mauritius, racconta la storia d’amore fra Paul e Virginie e del rapporto armonioso fra gli europei e i nativi dell’isola. Debuttò a Parigi nel 1806 come balletto pantomimico dove le punte non venivano ancora utilizzate. Sarà La Sylphide nel 1832 a iniziare la rivoluzione delle punte.
Tornando a Domingo, egli rappresentava un nero, ma venne impersonato dal bianco Auguste Vestris in blackface, ossia col viso e corpo dipinti di nero, il che ricorda il minstrel show statunitense, un tipo di intrattenimento popolare dove i bianchi interpretavano i neri in blackface in modo stereotipato. Solo che il minstrel show nasce più tardi, fra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento. Il balletto di cui parliamo risale però al 1806 a dimostrazione che il blackface nasce prima, molto prima, forse in epoca rinascimentale.
In Paul et Virginie, secondo Judith Chazin-Bennahum, i bianchi in blackface erano così neri da spaventare il pubblico, per cui Gardel decise di sfumare la loro nerezza in un marrone più chiaro. E qui vediamo tutta la presunzione dei bianchi nel decidere quanto neri dovessero essere i neri. Senza contare la questione blackface in sé, un ulteriore modo per affermare la neutralità della propria bianchezza. Siamo bianchi, superiori e possiamo pure essere neri.
Ma perché il nome Domingo? Qui per me sta un altro nodo del balletto. Quasi tutti gli altri personaggi hanno nomi francesi, compresa la moglie di Domingo, Marie. Perché quindi non Dominic o che so io, Philippe, Stéphane? Per diverso tempo ho cercato di capire da dove venisse la scelta di questo nome e poi un’idea finalmente mi è venuta. Domingo potrebbe far riferimento a quella che era la colonia francese di Santo Domingo nell’isola di Hispaniola, una delle principali isole delle Antille, che fu una colonia europea nel Nuovo Mondo (nuovo per gli europei, ovviamente). Nel 1665 la colonia passò dal dominio spagnolo (da cui Santo Domingo) a quello francese, fino al 1791, quando l’insurrezione degli ex schiavi portò alla rivoluzione haitiana, detta poi anche dei giacobini neri. La rivoluzione terminò con la vittoria degli ex schiavi nel 1804, un fatto senza precedenti. E allora penso al debutto di Paul et Virginie e al nome Domingo, che a due anni dalla rivoluzione haitiana, era probabilmente divenuto scomodo.

QUI si può ascoltare la puntata

Per approfondire:

Chazin-Bennahum, Judith, The Lure of Perfection – Fashion and Ballet 1780-1830 (New York: Routldge, 2005).

Cockrell, Dale, Demons of Disorder – Early Blackface Minstrels and Their World (Cambridge: Cambridge University Press, 1997).

James, Cyrill, I giacobini neri – La prima rivolta contro l’uomo bianco, trad. R. Petrillo (Roma: Deriveapprodi, 2015).

Pappacena, Flavia, “Storia della danza. Alla riscoperta dei balletti dimenticati – Paul et Virginie”, Giornale della danza, https://giornaledelladanza.com/storia-della-danza-alla-riscoperta-dei-balletti-dimenticati/ (consultato il 4 luglio 2020).
Paul et Virginie, cor. Pierre Grdel (Parigi: Théâtre St. Cloud, 12 giugno 1806).

Paul et Virginie, ballet-pantomime en trois actes, libretto (12 giugno 1806).
 
NOTA – Il libretto, consultabile su gallica, portale digitale della Bibliothèque Nationale de France, riporta la data e luogo sopra-indicati, ma un libro di riferimento per l’epoca, The Paris Opéra Ballet, di Ivor Guest, riporta la prima al 24 giugno, presso l’Opéra di Parigi.


9 luglio 2020

Scissure


SCISSURE: il podcast per guardare il mondo e le sue circonvoluzioni con gli occhi della danza.

Il nuovo progetto che mi vede collaborare con l’associazione Hexperimenta, da decenni attiva nell’ambito della danza contemporanea. Un podcast che cerca di indagare il presente attraverso il passato anche recentissimo, perché la danza è anche sguardo critico e può portare le parole ad essere meno definitive.

Ideazione: Stefania Zepponi e Rosella Simonari
Progettazione: Stefania Zepponi
Testi: Rosella Simonari
Voce: Clementina Verrocchio



9 luglio 2020