giovedì 24 settembre 2020

Passo pausa


Comunicare attraverso i social è la prassi per molte persone. Ma che tipo di comunicazione è? Se io taggo un mio contatto e quello non risponde, cosa vuol dire? Che non è interessato? Che è arrabbiato? Se gli mando un messaggio privato e non risponde neanche lì, cosa sta accadendo? La risposta non è univoca e potrebbe aver a che fare con molte questioni. Magari è uscito dal social e io non me ne sono accorta. Come nota Jacopo Franchi, i social sono fatti di “solitudini connesse” in cui la comunicazione muta spesso in non comunicazione.

Nella coreografia Il Cortile accade qualcosa di simile. Presentato nel 1985, è il frutto della creazione collettiva dei Sosta Palmizi e mostra il rapporto non rapporto fra sei personaggi che si susseguono sulla scena. Alcuni elementi ricordano la motion di Alwin Nikolais che fu maestro di Carolyn Carlson, a sua volta loro insegnante prima che formassero la compagnia. C’è infatti un lavoro profondo sulle articolazioni in movimento.

I sei personaggi sembrano non capirsi o non essere in grado di comunicare e spesso eseguono dei passi a cui si succedono delle pause durante le quali a volte si osservano l’un l’altro. Il palco cortile è riconducibile ad un territorio alienante con la polvere ad alzarsi ogni volta che i movimenti si fanno più concitati. Oggi parleremmo di distrazione da notifiche dei social, il nostro cortile virtuale, dove si rincorrono i ‘mi piace’ e si risponde al messaggio vocale di turno.

I critici hanno ritrovato un’atmosfera beckettiana ne Il Cortile, paragonandolo, secondo Angela Bozzaotra, a May B di Maguy Marin che è ispirato proprio a Samuel Beckett. E si ritrova una vena dell’assurdo nella dinamica del pezzo, come quando i quattro danzatori maschi stanno stesi per terra arrancando quasi in cerca di un movimento decisivo che li sblocchi da quella sorta di stasi.

Passo passo pausa...qual è la stasi che stiamo vivendo? Sembra assurdo (ecco), ma i rapporti così intesi sono dei non rapporti. Certo Franchi stesso ammette che con i social si condivide una conoscenza collettiva preziosa, ma questa conoscenza è mediata dall’algoritmo, è a lui che parliamo per primo quando mettiamo un ‘mi piace’ e il suo potere sta plasmando le nostre vite.

Il poster della coreografia rende particolarmente bene il senso di incomunicabilità insensata di oggi come di allora con un muro, una scala e un gallo dalla cresta rossa a fare capolino. Il senso claustrofobico del muro non viene alleggerito dalla scala in quanto sembra appoggiata lì senza un motivo apparente e la testa del gallo, oltre che rappresentare l’elemento cromatico del poster, segna forse l’assurdità di questo spazio, di questa nostra esistenza mediata. Cosa resta? Movimenti ipnotici e pose stralunate. Forse ha ragione Raffaella Giordano quando dice “la voce è rimasta dentro / rimane solo più l’eco”.

QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:

Bozzaotra, Angela, “Un ‘intermondo’ tra interprete e spettatore. ‘Il cortile’ dei Sosta Palmizi”, in Sciami, nuovoteatromadeinitaly.sciami.com, 2016, https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com/sosta-palmizi-il-cortile-1985/angela-bozzaotra-intermondo-cortile-sosta-palmizi-sciami-2015/ (consultato il 31 agosto 2020).

Franchi, Jacopo, Solitudini connesse – Sprofondare nei social media (Milano: Agenzia X, 2019).

Giordano, Raffaella, “Indispensabie a sé”, in Ugo Volli (a cura di), Sosta Palmizi allo specchio, Teatro Festival, n.3, aprile 1986, https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com/sosta-palmizi-il-cortile-1985/giordano-indispensabile-a-se-sosta-palmizi-cortile-teatro-festival-aprile-1986/ (consultato il 31 agosto 2020).

Il Cortile, cor. Sosta Palmizi (1985).

 

24 settembre 2020

giovedì 17 settembre 2020

Bambola e ballerina

 

Esiste tutta una tradizione di bambole ballerine che rimandano a ideali di grazia e dolcezza. L’associazione bambola-ballerina ha una sua tradizione anche nella storia della danza, per esempio con l’effervescente balletto Coppélia del 1870. Ispirato alla novella gotica “L’uomo della sabbia” di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann del 1816, fu coreografato da Arthur Saint Léon, musicato da Léo Delibes e scritto da Charles Nuttier. Al contrario dei toni cupi della novella, il balletto è famoso per il suo tono comico e il carisma della protagonista femminile, Swanilda.

Racconta la storia della bambola Coppélia che sembra una donna reale e attrae l’attenzione di Franz, fidanzato di Swanilda. Quando egli si introduce nel laboratorio del dr. Coppelius creatore della bambola, viene imprigionato, ma Swanilda accorre in suo aiuto, ingannando Coppelius fingendo di essere Coppélia. Alla fine Swanilda libera Franz e lo sposa con la benedizione della comunità.

La scena clou del balletto è quando la ballerina che interpreta Swanilda finge di essere Coppélia, danzando una danza spagnola e una scozzese, ribellandosi man mano a Coppelius. Secondo Sally Banes, in questa scena Swanilda porta avanti una sorta di “rivoluzione femminista”, dato che “la sua danza incarna metaforicamente un movimento emancipatorio che passa da totale restrizione (…) ad autonomia”.

La questione bambola-ballerina non investe solamente aspetti tematici, ma anche formali. Infatti l’interesse per bambole, automi e meccanismi a orologeria, si sviluppa proprio nel periodo in cui la tecnica della danza classica viene codificata, ossia nei secoli XVII e XVIII. Secondo Gwen Berger e Nicole Plett, “il corpo della ballerina rappresentava sia una costruzione estrema della femminilità idealizzata che una potenziale metafora per la perfezione meccanica”. Il primo automa di forma umana in grado di scrivere e parlare fu creato nel 1773 da Pierre e Henri-Louis Jaquet-Drotz e creò, come nota Ian Grant, un dibattito sugli automi in qualità di “artefatti meccanici”.

Opere come Frankenstein di Mary Shelley e la novella di Hoffmann riflettono lo stato di ansia che la questione automi produsse all’epoca, mentre Coppélia rappresenta un cambiamento di percezione che vede detta questione in termini di progresso. Per questo forse Coppélia poteva solo essere una parodia dell’ansia che gli automi produssero in passato, con la ballerina ad interpretare una bambola che si libera della sua staticità tramite una tecnica precisa come un orologio, un automa nel movimento e non nel contenuto.

QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:


Banes, Sally, “The Romantic Ballet: La Sylphide, Giselle, Coppélia”, in Dancing Women: Female Bodies on Stage (London: Routledge, 1998), pp. 12-41.

Berger, Gwen, Plett, Nicole, “Uncanny Women and Anxious Masters - Reading Coppélia Against Freud”, in Moving Words - Re-Writing Dance, ed. Gay Morris (London: Routledge, 1996), pp. 159-179.

Coppélia, cor. Arthur Saint Léon (1870).

Grant, Ian, “Bilogical Technologies: the History of Automata”, in New Media: a Critical Introduction, ed. Martin Lister (London: Routledge, 2003), pp. 314-350.

Hoffmann, E.T.A., L’uomo della sabbia e altri racconti, trad. Gerardo Fraccari (Milano: Mondadori, 1987).

Simonari, Rosella, “From Gothic to Comic: Coppélia, A Glittering Dance Adaptation of E.T.A. Hoffmann’s ‘The Sandman’”, A Dance History, 20 febbraio 2016, http://adancehistory.blogspot.com/2016/02/from-gothic-to-comic-coppelia.html (consultato il 13 settembre 2020).

 

17 settembre 2020

Mio articolo su Spadolini per Tutto Ballo 20

Nel numero di settembre di Tutto Ballo 20 è stato pubblicato un mio breve articolo su Spadolini.

 
 
 
17 settembre 2020

giovedì 10 settembre 2020

Decidere di non decidere

 

La coreografia è l’arte di comporre movimenti in un dato spazio e un dato tempo. Si può decidere di dar vita ad un assolo, ad un duetto o ad un lavoro di gruppo. In ogni caso, si decide da dove si parte nel palco, dove si va, come si sviluppa il movimento, quanto dura, con che intensità lo si fa e come lo si organizza assieme alle altre caratteristiche della coreografia che spesso includono anche costumi, scenografia, luci e musica. Da questi aspetti e non solo si evincono le decisioni di un coreografo. E se un coreografo decidesse di non decidere?

Merce Cunnigham ha operato questo tipo di decisione, ricorrendo alle pratiche combinatorie guidate dal caso. In molte sue coreografie, prima che iniziasse lo spettacolo si estraeva una carta o si lanciavano i dadi per far decidere al caso quale sarebbe stata, per esempio, la sequenza delle sezioni coreografiche, quale quella dei costumi, quale quella della musica e così via.

Una delle pratiche più care a Cunnigham era quella dell’I Ching, l’antico libro di divinazione cinese, uno dei testi del confucianesimo. Come sottolinea Roger Copeland, molte danze di Cunningham, come Torse del 1976 o Ocean del 1994, furono composte da una serie “di 64 movimenti possibili”, laddove il 64 corrisponde al numero di esagrammi dell’I Ching. Secondo Cunningham, l’uso di queste pratiche produceva “nuove possibilità” alle quali non avrebbe pensato, liberando, in parte, la coreografia dall’influenza del coreografo.

Cunningham non si imbarcò da solo in questa pratica, ma ebbe un sostegno fondamentale nella collaborazione con il musicista e compositore John Cage. Cunningham creava una danza e Cage una musica, senza che l’uno sapesse nulla del lavoro dell’altro, a parte una struttura ritmica di base. Le due composizioni si incontravano per la prima volta sul palco con il pubblico a costituire, secondo Cage, il terzo angolo di un triangolo che rappresentava l’evento ed ogni triangolo era differente. In questo modo le due arti coesistevano indipendentemente l’una dall’altra.

Secondo Copeland, Cunningham fu molto influenzato da Marcel Duchamp nello sviluppare queste tecniche compositive e nel tentare di ridurre al minimo “l’intervento ‘umano’”, mettendo così in atto un’estetica dell’indifferenza. Ramsay Burt ha notato come questa estetica possa essere stata il frutto dei tempi in cui Cunningham iniziò a coreografare, ossia gli anni Quaranta, quando il senatore Joseph McCarthy inaugurò una caccia alle streghe contro presunte spie comuniste, di fatto limitando la libertà d’espressione. Nonostante questo, il lavoro di Cunningham si pone come rivoluzionario nella storia della danza per come ha ridefinito, attraverso il decidere di non decidere, l’arte della coreografia.


QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:

Burt, Ramsay, The Male Dancer – Bodies, Spectacle, Sexualities (Londra: Routledge, 2007).

Copeland, Roger, Merce Cunningham – The Modernizing of Modern Dance (New York: Routledge, 2004).

“Chance Conversations: An Interview with Merce Cunningham and John Cage”, Walker Art Center, Minneapolis, 1981, https://www.youtube.com/watch?v=ZNGpjXZovgk (consultato 5 settembre 2020).

Ocean, cor. Merce Cunningham (1994).

Torse, cor. Merce Cunningham (1976).

 

10 settembre 2020

giovedì 3 settembre 2020

Normali danze da supereroi

 


Il mondo dei supereroi ci ha abituato ad evoluzioni coreografiche che sfidano il senso di gravità e spesso lo annullano: l’Uomo Ragno svolazza per i grattacieli letteralmente appeso al filo delle sue ragnatele, mentre Superman sfreccia fra gli stessi come un missile. Senza contare Doctor Strange, che nell’omonimo film della Marvel, corre su per i muri interni o esterni dei palazzi in una dimensione spazio-temporale alterata.

Ma che rapporto abbiamo con la forza di gravità? Possiamo cambiarlo? Come? Trisha Brown l’ha fatto con uno dei suoi Equipment Pieces, “Man Walking Down the Side of a Building” del 1970, una danza costituita da una camminata lungo il lato di un palazzo. Gli Equipment Pieces vennero concepiti come coreografie che avevano bisogno del supporto di vari sistemi, come sottolinea Sally Banes, per sondare “l’illusione del movimento naturale contro le forze del peso e della gravità”.

“Man Walking Down the Side of a Building” è una danza minimale in linea con la rivoluzione operata dalla danza postmoderna, che si spogliò dell’impianto teatrale e si concentrò sui movimenti di carattere quotidiano e astratto, portando la danza anche in luoghi inusuali, come i musei o, in questo caso, il muro di un palazzo.

“Il camminare è un gesto rivoluzionario”, dice Luca Gianotti e Wu Ming 2 ribadisce che grazie al camminare riusciamo a guardare il mondo che ci circonda con occhi diversi. L’atto del camminare comporta un continuo spostamento di peso da una gamba all’altra, farlo sul lato di un palazzo significa alterare completamente il senso di gravità e decostruire il camminare nella sua essenza. È proprio questa l’impressione che ha avuto Elizabeth Streb, una coreografa di azioni estreme alla quale Brown ha chiesto di danzare “Man Walking Down the Side of a Building”. L’idea di cambiare il senso della gravità, l’equilibrio precario e la lotta incredibile per restare ancorati al lato del palazzo hanno costituito elementi importanti per Streb.

La danza viene fatta senza musica, altro aspetto importante per la danza postmoderna, e con un sistema di cavi allacciati al corpo del danzatore o danzatrice. Cavi che vengono fatti scorrere dalla cima del palazzo da parte di personale specializzato. Ci sono varie versioni di questa danza online ed è elettrizzante, quasi spaventoso vedere gli scorci prospettici di una persona che cammina sul lato di un palazzo. Alla fine si ha l’impressione di un aver visto il mondo quasi sottosopra e aver sperimentato una forte alterazione dell’essere umano come creatura ancorata al terreno. Come nota Roger Copeland, Trisha Brown “desidera che manteniamo la consapevolezza dei limiti umani” affrontando la gravità come una scienziata, “provando ad osservarla, esplorarla e quantificarla”, promuovendo, come afferma Brown stessa, “un’attività naturale sotto la sollecitazione di un’ambientazione innaturale”. E, dopo tutto, i supereroi non fanno questo?

QUI si può ascoltare la puntata.


Per approfondire:


Banes, Sally, Tersicore in scarpe da tennis. La postmodern dance, a cura di Eugenia Casini Ropa, trad. M. Collina (Macerata: Ephemerea, 1993).

Brown, Trisha, citata in Rossella Mazzaglia, Trisha Brown (Palermo: L’Epos, 2007).

Copeland, Roger, citato in Rossella Mazzaglia, Trisha Brown (Palermo: L’Epos, 2007).

Gianotti, Luca, L’arte del camminare (Portogruaro: Ediciclo, 2011).

Steb, Elizabeth, ‘Elizabeth Streb discusses Trisha Brown's "Man Walking Down the Side of a Building"’, YouTube, 2010, https://www.youtube.com/watch?v=9kxWm31jh3Q (consultato il 28 agosto 2020).

Wu Ming 2, “Prefazione”, in Luca Gianotti, L’arte del camminare (Portogruaro: Ediciclo, 2011), pp. 7-11.

 

3 settembre 2020