domenica 19 aprile 2020

Coreografare il presente

Alberto Spadolini, Tau – L’ultima colonna del tempio, anni Sessanta.
Per gentile concessione di Marco Travaglini.
Davanti al supermercato occorre ora prendere un numero per fare la fila fuori. Poi dentro ci verrà dato un altro numero, una tesserina gialla plastificata. A volte questa tesserina non ha numero. Un numero non numero. Sono passate circa due settimane dall’ultima volta che ho fatto la spesa e non sapevo della fila fuori né tantomeno dei numeri. Attendo. Inizio a notare che all’arrivo le persone vanno diritte alla colonnina su cui è posta la macchinetta dei numeri. È la stessa che viene di solito utilizzata per fare la fila al bancone degli affettati, cibi pronti e pane. Davanti al supermercato c’è un ampio piazzale che si sviluppa in lungo per cui (per cui?) le persone non stanno in fila ma sparse qua e là. Il metro è fra di noi. Il metro di distanza. Misura minima di sicurezza. Quanto misura un metro? Ho necessità di visualizzare lo spazio. Margaret Atwood ha condiviso l’immagine che Health Canada raccomanda, un’alce, che misura sui due metri [1]. E in Italia? In Italia siamo rimasti all’astrazione del metro.

Nel piazzale, però, c’è chi non se ne cura o non se ne rende pienamente conto e passa troppo vicino alle persone in attesa pur di arrivare alla macchinetta. Tutti hanno una mascherina e i guanti, tranne io. Sono soprattutto mascherine usa e getta. Tanto si parla di mascherine. Mi chiedo se quelle che indossano queste persone sono sufficienti a proteggerle, a proteggerci. Mantengo la distanza posizionandomi un po’ all’esterno del gruppo. Due uomini stanno troppo vicini e chiacchierano. Perché? La distanza, quale distanza? Le mascherine e la sicurezza? Lo spazio. Il corpo. I corpi.

Anni fa lessi (o forse ascoltai) da qualche parte un coreografo, forse Mark Morris, lamentarsi del fatto che in metropolitana le persone non hanno il senso dello spazio, ossia il senso del loro corpo nello spazio. La danza, penso, insegna questo. Può insegnare questo. La consapevolezza del corpo e dei corpi nello spazio. Rudolf Laban, teorico del primo Novecento, parlava di cinesfera, lo “spazio personale” [2], quello che occupiamo con il nostro corpo e che circonda il nostro corpo. Ossia quello che, stando fermi, riusciamo a occupare estendendo gli arti periferici, come braccia e gambe. Viene in mente l’uomo vitruviano di Leonardo Da Vinci e viene in mente anche la nuova donna vitruviana di cui parla Rosi Braidotti [3]. Questo spazio potrebbe superare il metro se, per esempio, si aprissero entrambe le braccia lateralmente all’altezza delle spalle. Certo non si potrebbe andare in giro a braccia aperte. O sì?

Immagine di Health Canada twittata da Margaret Atwood.
Arriva un’altra persona, anche lei senza mascherina. Procede dritta verso la macchinetta anche se lì vicino è piazzata una signora. Perché? Mi viene in mente il celeberrimo passo a quattro dei cignetti del Lago dei cigni (1875-95) in cui altrettante ballerine danzano tenendosi allacciate per mano [4]. Richiede coordinazione e sincronia ed è un esempio di condivisione della cinesfera, che oggi non è possibile. Quando studiavo danza (secoli fa, ora scrivo di danza, il nulla nel nulla), ricordo che dovevo stare attenta alla distanza fra me e le persone che mi stavano vicine, perché avrei potuto dar loro un calcio o una bracciata. Anche se allora non conoscevo Laban, stavo però iniziando a conoscere la mia cinesfera.

Ormai ho capito che bisogna prendere il numero, altrimenti non entrerò mai nel supermercato. Chiedo per sicurezza al signore più prossimo a me. Me lo conferma. Allora gli chiedo come posso arrivare alla macchinetta se vicino vi stanziano due persone. Alza le spalle e mi consiglia di fare il giro lungo, passare all’esterno del gruppo e raggiungere così la macchinetta da dietro.

È un’ottima intuizione coreografica che seguo all’istante. Poi ritorno alla mia posizione. Ferma, in piedi, sul posto. La fila non fila sembra una coreografia dello stare in piedi sul posto. Sembrerebbe una postura molto limitante, ma non è così. Per la coreografa Martha Graham, la postura rimanda solo apparentemente all’immobilità, in quanto “il corpo è bilanciato per l’azione più intensa e impercettibile” [5]. Se decido di restare ferma con le gambe posso muovere le braccia, le mani, le spalle, il collo, la testa, il torso e così via. È quello che Linda Rickett-Young definisce come gesto [6]. In assenza di spostamento di peso, il corpo può muoversi ancora molto. E penso alle mani e braccia di Virgilio Sieni in Nudità (2018) [7], alla sua arte del gesto. Se poi decido di muovere anche le gambe, si apre un ventaglio di possibilità cinetiche stando sul posto.

Il passo a quattro dei cignetti, Lago dei cigni, Royal Ballet.
La prima che mi viene in mente, per formazione, è il flamenco. Potrei piegare leggermente le ginocchia e far partire un polpaccio dietro l’altro per colpire il pavimento, eseguendo uno zapateado con la planta, punta y taco. Non lo faccio. Mi prenderebbero per folle. E allora penso che in questo periodo assurdo, per assurdo ci vorrebbero proprio dei coreografi e delle coreografe per gestire, insegnare e coordinare il movimento delle/alle persone. E penso anche a tutti e tutte gli/le insegnanti di danza che sono fra i/le più colpiti/e dall’emergenza [8]. Loro sì che sono abituati/e a gestire gruppi di persone (bambini/e inclusi/e) in movimento e se lo fanno di solito in vista di spettacoli e saggi lo potrebbero fare anche sulle strade e nei luoghi chiusi e soprattutto potrebbero insegnare e trasmettere questa forma di conoscenza a chi non ce l’ha. Ci vuole un senso coreografico dello spazio, non possiamo affidarci all’intuizione cinetica che ognuno di noi può già avere. Lo so, suona assurdo. Appunto.

Lo studioso di danza Alessandro Pontremoli, parlando di tecniche corporee, sottolinea, citando Eugenio Barba, come si possano considerare i movimenti che si fanno nella vita quotidiana, tipo alzarsi e camminare, come “tecniche quotidiane del corpo” [9] e i movimenti che vanno al di fuori di questo spettro, tipo lo slancio di una gamba in alto, come “tecniche extra-quotidiane” [10]. In tempi di coronavirus, alle persone è implicitamente richiesto di riconfigurare le proprie tecniche quotidiane in tecniche extra-quotidiane, come lo stare in piedi fermi in un piazzale a distanza di almeno un metro (?) davanti ad un supermercato e camminare quel tanto che permette alla fila non fila di procedere, sempre mantenendo detta distanza.

Virgilio Sieni in Nudità.
Già nella fase uno ci sarebbero volute delle figure esperte in coreografia (assurdo, ma che dico?), figuriamoci nell’ambito della fase due, quando molte più persone saranno in giro. Saranno/saremo in grado di autoregolarsi/ci? Io penso di no, perché, al contrario di quello che dice provocatoriamente Gia Kourlas [11], non siamo tutti/e danzatori/danzatrici, ma forse lo dovremmo diventare. Ci sono probabilmente anche altre pratiche corporee (!), io parlo di quello che un po’ conosco. Se è vero che è diventata una questione di vita o di morte (la retorica a volte aiuta) mantenere una certa distanza, allora sviluppare la consapevolezza del corpo nello spazio e quindi la capacità non solo di stare distanti di almeno un metro (?!), ma di mantenere questa distanza mentre ci si muove (nel supermercato, per esempio) diviene requisito fondamentale. E ignorare (nel senso proprio di non conoscere) questo aspetto potrebbe continuare a spingere le persone a infrangere questa fantomatica distanza per prendere lo stramaledetto numero e entrare nel girone delle file non file. Non si può dare questa conoscenza cinetica per scontata. Molte persone ce l’avranno, ma altrettante no. Kourlas stessa, e in questo sono d’accordo con lei, citando il coreografo Ori Flomin, afferma che chi si occupa di danza fa proprio questo, organizzare “le persone nello spazio” [12].

Mi torna in mente il quadro enigmatico Tau – L’ultima colonna del tempio, di Alberto Spadolini, pittore danzatore quasi sconosciuto, che ha trasformato molti dei suoi quadri in coreografie oniriche. Le figure ritratte stanno tutte a una certa distanza. Al centro un uomo, forse un danzatore di spalle con in mano una maschera (mascherina?). L’atmosfera è rarefatta e surreale. È così che ci troveremo a vivere? Forse. Ma se dobbiamo reinventarci il senso dello stare insieme, dobbiamo farlo anche in termini coreografici (et voilà, l’ho detto) e non solo. Come ha sottolineato la studiosa di architettura, Marta Magagnini, “inventiamo nuovi lavori in tempi di covid-19! Professionisti ‘a spasso dentro casa’ ce ne abbiamo a iosa!!!”[13]

Resto in piedi, a piedi uniti, salda e nervosa. Chiedo chi abbia il numero prima del mio, ma nessuno risponde. Forse c’è chi ha desistito. La fila non fila pian piano si muove con persone che entrano e persone che prendono il loro posto in prima linea davanti all’entrata. È quasi un movimento a imbuto, magnetico, dove l’entrata costituisce la calamita verso cui ognuno di noi è attratto. A parte i due uomini che ancora chiacchierano troppo vicini, gli altri stanno tutti in silenzio. Una signora ha lo sguardo atterrito come se questo stare in piedi così, stare distanti, fosse ancora qualcosa di incomprensibile e insensato. E lo è. Io sono atterritissima.

Graham, quando si trovò su un piccolo aereo traballante, disse di aver ripassato a mente la sua coreografia Errand into the Maze (1947), per alleviare la paura [14]. È una coreografia in cui una donna lotta contro i propri demoni. Ispirata al mito di Teseo e Arianna, si concentra sulla figura femminile (Arianna? Arianna e Teseo) che combatte contro il Minotauro, denominato la Creatura della Paura. È di notevole spessore tecnico e interpretativo e alterna assoli della protagonista a corpo a corpo fra lei e la Creatura. Ripenso al suo inizio: la danzatrice sta in piedi in fondo al palco, sguardo in basso e mani incrociate sul ventre. E respira. Respiraaa. Il movimento che il torso fa inspirando e espirando ha influenzato Graham nello sviluppo della sua tecnica di danza fondata sulla contraction and release (contrazione e distensione). Se ci penso un misto di amara, amarissima ironia mi attanaglia lo stomaco. Ora che molte, troppe persone stanno morendo di crisi respiratoria. Penso a tutto questo orrore che si poteva evitare e non si è evitato [15]. È uno scarto insopportabile. Non so se riuscirò a stare ferma, sul posto, in equilibrio su questo labirintico presente.

Tocca a me. Sto per entrare, ma la persona col numero prima del mio compare dalla via laterale al supermercato. Un’altra intuizione coreografica. Faccio alcuni passi indietro e la lascio passare.



NOTE

[1] Margaret Atwood, “Proper Social Distancing” Tweet del 28 marzo 2020.
[2] Rudolf Laban, Choreutics, a cura di Lisa Ullman [1966] (Alton: Dance Books, 2011), p. 10.
[3] Rosi Braidotti, The Posthuman (Cambridge: Polity, 2013), p. 21. Per la versione italiana si veda Rosi Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, trad. Angela Balzano (Roma: DeriveApprodi, 2014).
[4] Lago dei cigni, cor. Marius Petipa, Lev Ivanov, musica Pëtr Il’ič Čajkovskij rivista da Riccardo Drigo, danzatori/danzatrici Pierina Legnani, Pavel Gerdt e il Balletto Imperiale (San Pietroburgo: Teatro Mariinskij, 27 gennaio 1875). 
[5] Martha Graham, “A Modern Dancer’s Prime for Action” in Dance – A Basic Educational Technique, a cura di Frederick Rand Rogers (New York: MacMillan Company, 1941), p. 181.  Avevo già parlato di posture e dell’atto anche politico dello stare in piedi nel 2013, “Stare in piedi”, Storia della danza, 15 agosto 2013, (consultato il 16 aprile 2020).
[6] Linda Rickett-Young, Essential Guide to Dance (Londra: Hodder&Stoughton, 1996), p. 75.
[7] Nudità, cor. e interpretazione Mimmo Cuticchio,Virgilio Sieni (Firenze: Teatro Niccolini, 11 ottobre 2018). Per maggiori informazioni, http://www.virgiliosieni.it/schede/nudita-2/ (consultato il 13 aprile 2020).
[8] Si veda l’appello lanciato da Alessandra Celentano: “Covid19, Alessandra Celentano lancia l’allarme: ‘Il settore danza è al collasso’”, giornaledelladanza.com, 15 aprile 2020 (consultato il 16 aprile 2020).
[9] Alessandro Pontremoli, La danza – Storia, teoria, estetica nel Novecento (Bari: Laterza, 2004), p. xviii.
[10] Ibidem.
[11] Gia Kourlas, “How We Use Our Bodies to Navigate a Pandemic”, The New York Times, 31 marzo 2020 (consultato il 13 aprile 2020). Si veda anche l’articolo di Jason Kottke, “We Are All Dancers Now – Mindful Movement is key to Social Distancing”, in Kottke.org, 2 aprile 2020 (consultato il 16 aprile 2020).
La nuova donna vitruviana sul libro di Rosi Braidotti.
[12] Ibidem.
[13] Marta Magagnini, Post su facebook, 16 aprile 2020.
[14] Martha Graham, Blood Memory – An Autobiography (New York: Washington Square Press, 1991), p. 267. Per la versione italiana del libro si veda Martha Graham, Memoria di sangue – Un’autobiografia, trad. Anna Fedegari, prefazione Leonetta Bentivoglio (Milano: Garzanti, 1992). Per la coreografia, Errand into the Maze, cor. Martha Graham, scene Isamu Noguchi, musica Giancarlo Menotti, costumi Martha Graham, luci Jean Rosenthal, danzatori/danzatrici Martha Graham, Mark Ryder (New York: Ziegfield Theatre, 28 febbraio 1947).
[15] Si veda per esempio la video inchiesta “Il virus è un boomerang”, Indovina chi viene a cena, a cura di Sabrina Giannini (Rai 3, 29 marzo 2020), disponibile per ora su RaiPlay  (consultato il 13 aprile 2020). O anche l’importante “Video conferenza con Emanuele Leonardi”, a cura di XRItaly, 5 aprile 2020, ora online (consultato il 10 aprile 2020).


19 aprile 2020