Teatro Annibal Caro, Civitanova Alta
Teatro Rossini, Teatro Cecchetti, Civitanova Marche
20 luglio 2013
Civitanova Danza, il festival capisaldo della danza contemporanea e non solo nelle Marche e in Italia, quest'anno compie vent’anni. Enrico Cecchetti, a cui il festival è dedicato, sarebbe stato contento dei risultati raggiunti dalla sua città di origine. Cecchetti, oltre ad essere stato un ballerino apprezzatissimo per le sue doti tecniche, fu anche un maestro di danza che per molti anni insegnò presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Fra i suoi allievi vi furono ballerini di fama internazionale come Anna Pavlova, Vaclav Nijinskij, Leonide Massine, Ninette de Valois, Marie Rambert e George Balanchine.
Gli appuntamenti del festival di quest’anno sono stati
contrassegnati da incontri con esperti del settore, esibizioni delle scuole di
danza della città, un campus con docenti della Scuola di Ballo della Scala e
dell’Opéra de Paris, oltre che dagli spettacoli veri e propri. Spettacoli che
sono stati raggruppati in due maratone con più offerte, fra le quali spiccava
l’attesa nuova coreografia di Blanca Li e la prima assoluta di Zappalà Danza, e
due serate a tema unico, una, Romeo and Juliet di Aterballetto da tenersi
presso l’Arena Sferisterio di Macerata (serata che però, a causa del taglio dei fondi FUS - Fondo Unico dello Spettacolo - per la Regione Marche, è stata annullata) e l’altra, La notte della stella con Svetlana
Zakharova, al Teatro Rossini.
Il 20 luglio, in particolare, è
iniziato con un incontro dedicato al tema
“Emergere/essere giovani” con Francesca Bernabini di
Federdanza, Selina Bassini di Cantieri Danza e Virgilio Sieni, coreosofo fra i
più affermati del panorama nazionale, nonché, da quest’anno, direttore artistico
della Biennale Danza di Venezia. Se le prime due relatrici hanno fornito, pur con i
loro differenti punti di vista, una prospettiva di carattere tecnico-pratico su
come un giovane danzatore possa muoversi in Italia per
emergere, Sieni, da affabulatore d’altri tempi qual è, ha deliziato il pubblico
con la sua prospettiva dal didentro e con il suo linguaggio visionario. Secondo il
coreosofo fiorentino un’importanza fondamentale riveste il rapporto col
pubblico che è riconducibile ad un rapporto con l’alterità e altrettanto importante è la figura dell’insegnante di
danza che dovrebbe quasi trasformarsi in un maestro di bottega come ne esistevano una volta, per recuperare i
significati profondi del fare danza nel senso più ampio del termine,
significati che egli denomina con un’espressione molto evocativa,
“fessurazioni spirituali”.
Locadina dello spettacolo Pinocchio, foto Virgilio Sieni. |
Leggermente diverso non soltanto perché è un non
vedente a danzare, ma anche e soprattutto perché Sieni trasforma la celebre
fiaba di Collodi in un percorso “sulla nascita e la crescita dell’uomo alla
ricerca dell’origine dei sensi”. E Pinocchio, come si evince dal programma di
sala, è anche Geppetto che “è un non vedente che da alcuni anni si prepara alla
danza”. Quindi il livello del racconto si sposa poi con un livello che va oltre
il racconto stesso e che si ispira forse alla vita di Comuniello in un gioco ad
incastri lieve e soave.
Il palco è pieno di oggetti ideati da Antonio Gatto fra
cui un pannello sonorizzato sul quale Comuniello farà dei disegni. Comuniello indossa
un paio di orecchie da asino ed un naso lungo. Danza una danza di gesti a volte
minuti ed eleganti, altre volte più decisi e marcati; in un momento sul
proscenio si accarezza il braccio leggerissimamente ad occhi chiusi per poi
eseguire dei giri a scatti e andare a terra. Durante la coreografia su di uno
schermo in fondo appaiono delle scritte dirette al pubblico, “il centro è più o
meno qui”, “la cassa è più o meno lì”, “la direzione verso il centro è più o
meno questa” per concludersi con “venite dietro a me e non abbiate paura”.
Queste scritte sembrano evidenziare la percezione forse imprecisa dello spazio
da parte del protagonista, ma sembrano anche sottolineare che il suo mondo è un
bel mondo, un mondo che egli ci invita a scoprire senza avere timore.
La sensazione è che le varie sezioni della coreografia,
il programma di sala ne enumera quattro, siano incompiute e che la coesione
cinetica del pezzo sia un po’ lacunosa rispetto a quello che promette.
Comuniello interagisce inoltre direttamente con il pubblico in un paio di
occasioni, la prima chiamando quattro volontari solo per farsi sorreggere
mentre lancia dei petali rossi e mentre ha una specie di crisi epilettica, la
seconda chiamando una persona che lo aiuti a legarsi dei mattoncini sotto i
piedi, a mo’ di scarpe. In questo secondo caso l’interazione è più riuscita
dato che il nostro Pinocchio/Geppetto veste poi questa persona con un k-way e conclude la
danza caricandosela sulle spalle.
Siamo in ritardo, dobbiamo tornare a Civitanova
Marche, ci avviciniamo al punto dove il bus navetta dovrebbe aspettarci, ma il
bus non c’è in quanto era pieno e dovrà fare un altro viaggio per venire a
prenderci. Il tempo dell’attesa diviene il tempo dello scambio di opinioni che
l’assolo ci ha procurato, forse un po’ di delusione, ma anche la sensazione che
Sieni intenda esplorare qualcosa che vada oltre il fare danza classicamente
inteso, qualcosa che ci riconduca al significato dei gesti e alla loro poesia.
Una scena di Robot, foto di Magali Bragard. |
E Robot, che va in scena al Teatro Rossini, si ricollega idealmente proprio a questa
tematica. L'autrice è Blanca Li, coreosofa
spagnola trapiantata in Francia. È un salto quantico rispetto alla delicatezza dell’opera di Sieni. È un lavoro di gruppo dove i danzatori dal
fisico scultoreo si muovono spesso ad un ritmo incalzante. Vi sono degli
oggetti meccanici sullo sfondo che scopriamo presto essere impianti musicali del
gruppo Maywa Denki che di volta in volta si animano per accompagnare la danza.
Blanca Li non è nuova a questo argomento data la sua
esperienza come coreografa di video musicali come quello celebre dei Daft Punk,
Around the World (1997), dove figuravano quattro danzatori nel ruolo di robot,
ma in questo caso Li ci propone dei robot veri, piccole creature umanoidi, i
NAO, prodotti dalla Aldebaran Robotics, che si confrontano sul palco con la
complessa articolazione del movimento eseguita dagli otto danzatori della
compagnia. Si tratta di un esperimento interessante ma solo parzialmente
riuscito, dato che i NAO spesso cadono in avanti spezzando un po’ la magia
della loro presenza in scena. Inoltre Li sceglie di renderne uno protagonista
di una scenetta di seduzione piuttosto ridondante e stereotipata. I danzatori sono molto bravi nell’eseguire la
partitura coreografica, anche se a volte ricadono in uno stile un po’ rétro. Le
scenografie di Pierre Attrait e le luci di Jacques Chatlet sono magnifiche
visioni che contribuiscono con efficacia a creare l’atmosfera quasi cibernetica
dell’opera.
Masako Matsushita in De Visu in Situ Motus, foto Luigi Gasparroni. |
26 agosto 2013
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