Alberto Spadolini (1907-1972) è stato un interessantissimo artista del Novecento che merita di essere studiato attentamente. Lungo la sua carriera si è imposto al pubblico soprattutto come danzatore e pittore, seppure si sia occupato anche di cinema, restauro e molto altro. Negli anni Venti visse a Roma frequentando il Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia. All’inizio degli anni Trenta si trasferì a Parigi dove trovò lavoro presso lo studio di Paul Colin, celebre per i manifesti di riviste come la Revue Negre che lanciò l’esuberante Josephine Baker. Secondo quanto ritrovato fino ad ora, divenne danzatore di music hall per caso, a volte proprio come partner di Baker. Entrò in contatto con numerose celebrità, come Dora Maar e Maurice Ravel che fu particolarmente soddisfatto dell’interpretazione che egli fece del suo Bolero. Seppur spesso visto come latin lover, visse una propria spiritualità interiore come si evince dalle affermazioni fatte in diverse interviste o in alcuni dei quadri che dipinse.
La sua riscoperta è
dovuta al nipote, Marco Travaglini, che per più di un decennio ha lavorato alla
raccolta di materiale di ogni tipo per ricostruire un vita complessa e
ricca. Ha scritto più di un libro su di lui, moltissimi articoli, organizzato
e collaborato a svariati eventi. Ecco perché leggendo il libro di Ignazio Gori
ci si chiede subito come mai le informazioni fornite da Travaglini siano
presenti, spesso anche con inesattezze, ma Travaglini non venga mai citato e
anzi vi sia un misero accenno agli “eredi” a conclusione del libro.
Il perché va rintracciato
nella genesi del volume. Gori contatta Travaglini per parlargli del progetto,
Travaglini si informa su cosa Gori abbia pubblicato e, non ritenendolo adatto,
gli propone di farlo insieme. Gori rifiuta e la casa editrice Castelvecchi
decide comunque di proseguire con l'opera che quindi nasce fallata in
partenza. Poiché, come ho già cercato di spiegare qui, il lavoro di Travaglini
è passaggio fondamentale per ricostruire quello che sappiamo su Spadolini.
Ignorarlo o comunque non citarlo implica una mancanza di rispetto, etica e
metodo.
Alberto Spadolini, foto Studio Iris Paris. |
Con questa premessa, si
comprende la scelta scellerata della copertina, del titolo ammiccante e della prospettiva
biografico-romanzata, scritta peraltro in una prosa che lascia spesso a
desiderare.
La copertina presenta il danzatore pittore a
testa in giù, ma non si tratta di una posa artistica, bensì del rovesciamento
di una foto dell’artista, probabilmente per ovviare ad eventuali proteste da
parte del nipote. Eppure, anche solo una ricerca superficiale su Spadolini,
mette subito in luce le splendide fotografie che gli vennero scattate dagli anni
Trenta in poi. La foto in questione è probabilmente ascrivibile alla versione del Pomeriggio di
un fauno che egli danzò nel 1933, versione che fu originariamente coreografata e danzata da Vaslav Nijinsky nel
1912. La sua posa è esemplificativa della presenza scenica e del fisico
scultoreo che spesso lo vide in scena indossando costumi succinti. È in relevé,
gambe in quinta posizione, braccia e mani tese lungo i fianchi ma discostate
dal corpo in modo da disegnare lo spazio in maniera geometrica. Occhi chiusi
truccati così come la bocca e per costume uno slip piumato scuro. La foto è
autografata. La casa editrice ha tagliato la parte inferiore e l’ha messa
sottosopra deturpandone la bellezza, la plasticità e il senso.
Poi il titolo che
aggiunge quell’“agente segreto” per creare suspense o curiosità, come se
l’essere o meno stato agente segreto per Spadolini fosse uno degli elementi
principali della sua vita. Su questo bisogna ancora studiare bene la
documentazione e capirne il ruolo e il peso, metterlo nel titolo significa
quanto meno di peccare di superficialità.
Venendo al libro in sé,
possiamo dire che riprende la maggior parte delle informazioni fornite da
Travaglini con l’aggiunta di ulteriori elementi non sempre veritieri o
verosimili. Non vi sono note atte a dimostrare quanto viene affermato, se non
uno sparuto esempio che non si comprende che ruolo abbia. Le note si mettono per
bene o non si mettono per niente. Vi è inoltre un’esigua bibliografia e cronologia alla
fine. Gori opta per una suddivisione in capitoli brevi e sottolinea come il suo
lavoro sia di tipo “frammentario e fiabesco”. Poche righe prima, però leggiamo
già delle affermazioni grossolane, “considerato tra i più grandi danzatori
italiani del Novecento, Spadolini è stato anche artefice di una pittura
originale, promotrice di un’‘estetica della danza’”. Sappiamo ancora poco sullo
Spadolini danzatore, affermare che fu uno dei più importanti addirittura del
secolo non risponde al vero e parlare della sua pittura sulla danza in termini
di estetica un po’ forzato. Ma il libro è pieno di forzature, spesso condite da
una retorica celebrativa artificiosa e poco credibile, “nonostante lo sforzo
dovuto alla concentrazione e la fatica, dopo tante ore di lavoro, i capelli
sono perfettamente in ordine, solo leggermente scomposti sulla nuca e un riccio
bellissimo gli scende sulla fronte, imperlata di sudore” e ancora, “dopo il
clamore suscitato dall’improvvisa esplosione di talento, Spadolini è nella
condizione di quei pochi privilegiati che si ritrovano baciati dalle labbra del
destino”.
Gori dedica un capitolo
ad un articolo particolarmente significativo dell’artista marchigiano,
“Impressioni d’America” (1935), che tratta di una sua tournée negli Stati
Uniti. Gori afferma che l’articolo è presente nella Bibliothèque Nationale de
France (ovviamente non è stato inserito nella bibliografia, come molti dei
riferimenti citati, di nuovo mancando di metodo), ci si chiede se è lì che sia
andato a consultarlo, se sì, come mai non ve se ne accenni nei ringraziamenti.
Però poi controllando il testo di Travaglini, si nota che l’articolo viene riportato per
intero nella sua traduzione italiana, aspetto che ci porta di nuovo a
interrogarci sulla scorrettezza dello scrittore e della casa editrice che ne ha
approvato il testo.
In aggiunta, la danza,
che è parte fondante della carriera di Spadolini, viene trattata con
sufficienza e pochezza di conoscenze e vocaboli, anche qui cadendo spesso nei
cliché, “Spadolini sembra andare oltre, spezzare il disegno della coreografia,
mettendoci del suo. Non si preoccupa della tecnica dei passi; predilige la
passione che incorpora in ogni singolo movimento muscolare”. E poche righe dopo
una delle numerose inesattezze, questa particolarmente grave in quanto Gori sostiene che i Balletti Russi di Sergei Diaghilev furono fondati da George Balanchine di cui si fornisce la traslitterazione del nome dal cirillico e non
quella comunemente usata e che anzi gli fu data proprio da Diaghilev. Balanchine
fu l’ultimo coreografo della celebre compagnia di danza che non nacque nel 1911, come egli asserisce, ma nel 1909.
Ci sarebbero stati altri
modi per scrivere un libro su Spadolini, ci si chiede se Gori conosca il testo
teatrale Alison’s House (1930) di Susan Glaspell
che riprende la poeta Emily Dickinson e ne fa un’opera magistrale. Glaspell non
ebbe il permesso da parte degli eredi di usare il nome e le poesie di Dickinson
e allora cambiò i nomi e scrisse un’opera incentrata su cosa avvenne dopo la
morte della poeta, su come i familiari la ricordarono, su cosa venne fuori
dalle tensioni fra le diverse generazioni e via dicendo. Ma Gori non è
Glaspell.
Un altro modo, forse il
più sensato, sarebbe quello di utilizzare il metodo microstorico e studiare e
interpretare le fonti in modo approfondito, come ha fatto in modo esemplare e
facendo scuola, Carlo Ginzburg ne Il
formaggio e i vermi (1976). Ma Gori non è Ginzburg.
Come interpretare, infine, le diverse recensioni compiacenti sia su carta stampata che online? Forse che oggigiorno non si analizza più un libro in modo critico, a partire da una copertina così bizzarra e stonata? Che non si è in grado di farlo? O che la critica ormai si è ridotta a puro servilismo di un sistema editoriale in crisi?
25 febbraio 2016
Complimenti per la recensione perfetta!
RispondiEliminaGrazie Marco, grazie davvero!
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