Black Flags è una grande installazione che William Forsythe ha creato nel 2014 per uno dei suoi progetti denominati Choreographic Objects. Forsythe ha rivoluzionato il linguaggio della danza sin dalla fine degli anni Ottanta, con il suo stile radicale e decostruttivo nei confronti del balletto. Nel 2005 ha spinto la sua creatività ancora più oltre facendosi domande come, “è possibile per la coreografia generare autonome espressioni dei suoi principi, un oggetto coreografico, senza il corpo?” (Forsythe, senza data). Il risultato sono stati i Choreographic Objects, una serie di installazioni impegnative che potevano distinguersi per grandezza, materiale e struttura.
Black Flags è uno di questi, è gigante ed è fatto di due bracci robotici che tengono e muovono due bandiere nere. Il tessuto scuro e grande di ogni bandiera si muove a volte in unisono con l’altra, altre volte secondo una direzione o angolo differenti, “c’è una distribuzione di forze davvero unica” dice Forsythe, lodando la “bellezza e precisione” (Forsythe, 2017) di questi oggetti. Il rumore dei robot in azione è l’unica ‘musica’ del pezzo.
Non
ho visto questa installazione dal vivo, ma ho sentito un senso
profondo di spaesamento perturbante guardando il video della
performance e ho iniziato a pensare al perché. La prima cosa che mi
è venuta in mente sono gli sbandieratori italiani, artisti che
muovono le bandiere in varie direzioni e in aria in
composizioni acrobatiche. Non è chiara la loro origine, ma
oggigiorno ci sono numerosi spettacoli di ispirazione medievale che
includono l’esibizione degli sbandieratori il cui lavoro può
essere certamente visto come un tipo di coreografia. Qui un paio di
esempi, il primo è una registrazione dal vivo degli sbandieratori di
Lanciano, il secondo è un ritratto video degli sbandieratori di
Acquapendente:
Guardando
le bandiere di Forsythe e gli sbandieratori si può notare
l’inquietante (Forsythe stesso usa il termine ‘inquietare’,
vedi Forsythe, 2017) calma delle prime e il brio dei secondi, c’è
una connessione nell’abile manipolazione delle bandiere, ma una
netta differenza nella dinamica.
Lo
spaesamento continua, c’è qualcosa fuori posto in questa
installazione, ma ancora non so cosa sia. Poi arriva la seconda
associazione, è con la bandiera anarchica, che era di colore nero verso la
fine dell’Ottocento e inizio del Novecento. Resa popolare da Louise
Michel in Francia negli anni Ottanta del 1800, la ritroviamo poi in
altri paesi come gli Stati Uniti (afaq, 2008). Secondo Howard Ehrlich,
il colore nero fu scelto per l’associazione a vari elementi:
“Il
nero è la sfumatura della negazione. La bandiera nera è la
negazione di tutte le bandiere. È la negazione della nazionalità
che mette la razza umana contro se stessa e nega l’unità
dell’umanità. Il nero è uno stato d’animo di rabbia e sdegno
(…). Il nero è anche il colore del lutto. (…) Il nero è anche
bello. È il colore della determinazione, risolutezza, forza, un
colore attraverso il quale tutti gli altri vengono chiariti e
definiti. Il nero è la zona misteriosa della germinazione,
fertilità, il terreno dove si alleva di nuovo la vita che si evolve
sempre, si rinnova, si ricarica e riproduce se stessa nell’oscurità”
(Ehrlich, citato in afaq, 2008).
Ci
sto arrivando. Questo senso di spaesamento è collegato all’idea
di nazione/gruppo che la bandiera incorpora. E penso alle bandiere
statunitensi piantate sulla Luna nel 1969 o, andando indietro, alla
bandiera nel quadro di Eugène Delacroix, La Libertà che guida il
popolo (1830), dove l’allegoria della forma femminile (Warner,
1985) rappresenta l’ideale di Libertà e guida un gruppo di persone
attraverso la guerra (più specificatamente si tratta della
Rivoluzione di Luglio del 1830). La stessa bandiera tricolore diventerà poi la bandiera nazionale francese.
Forsythe,
parlando di Black Flags, afferma che hanno lavorato duramente “per
de-antropomorfizzare questi robot nelle loro azioni e abbiamo fatto
tutto il possibile per rimuovere l’idea di dominio, sottomissione o
scopo anche se si inserisce furtivamente dentro” (Forsythe, 2017).
Non penso di essere d’accordo con questa idea. Le bandiere sono
simboli molto sovraccarichi e connessi alla storia umana, la
politica, la cultura e vari altri campi (c’è anche una disciplina
che si occupa del loro studio, si chiama Vexillologia, dal latino
‘vexillum’, bandiera) e portano con sé segni di dominio e
sottomissione. Scegliere delle bandiere per un’installazione senza
entrare in relazione con questi segni significa perpetrarli in
qualche modo. George Balanchine, per esempio, ha coreografato due
balletti dedicati alle bandiere, Stars and Stripes (1958), per la
bandiera statunitense e Union Jack (1976), per quella inglese,
scegliendo un tono celebrativo e “tratti patriottici” (Balanchine
Trust, nessuna data).
Trinket
di William Pope.L, un’installazione del 2008 dove una gigantesca
bandiera viene fatta sventolare da grossi ventilatori industriali e
viene illuminata da diverse luci, è piuttosto differente in questo
senso. Sembra una bandiera degli Stati Uniti ma non lo è in quanto
Pope.L ha aggiunto una stella, che è un piccolo dettaglio in grado
di scompaginarne l’aspetto simbolico. In modo simile, il titolo,
che significa ‘ninnolo’ e, in questo caso, fa riferimento ad una
spilla (magari a forma di bandiera), si pone in forte contrasto con la
maestosità del simbolo della bandiera, “quando si parla di cose
grandi, usate parole piccole” dice (Pope.L, 2015).
Christopher
Knight riassume il lavoro come segue:
“La
promessa di uguaglianza del simbolismo della bandiera si comprende
facilmente, ma ciò che rende la scultura grande è la sua profondità
stratificata. Più difficile da rappresentare è il simbolo del
potere, la cui fonte è controintuitiva: il simbolo è dinamico
perché la sua promessa di uguaglianza non è stata mantenuta”
(Knight, 2015).
Secondo
Pope.L la bandiera “è uno spazio di disaccordo e accordo” e
questo condensa il discorso articolato sul simbolismo della
bandiera, soprattutto per l’uso del termine ‘spazio’, che
rimanda alla radice geopolitica di molti conflitti.
Un
altro artista, Robert Longo, ha creato nel 2014 una grande scultura
di legno, acciaio e cera che ricorda una porzione di bandiera
statunitense, a parte il fatto che è nera e costruita come se fosse
una “nave che affonda” (Longo, 2016). La posizione eretta (quasi
fallica) di una bandiera che sventola dalla sua asta viene
decostruita e riplasmata secondo una diagonale minacciosa. Intitolata
Untitled (Pequod) evoca la nave di Achab in Moby Dick (1851) di
Herman Melville, una nave che alla fine naufraga come naufraga
l’ossessione di Achab per la balena bianca. “Moby Dick è come il
codice genetico dell’America” dice Longo, in quanto l’equipaggio
è fatto di persone che vengono da culture differenti ma che sono
guidate dai bianchi. E Achab “ha questa incredibile arroganza che è
molto simile all’arroganza americana di oggi” (Longo, 2016).
Robert Longo, Untitled (Pequod). |
Sia
Pope.L che Longo affrontano il simbolismo delle bandiere, Forsythe
non lo fa. Questa è probabilmente la causa del mio spaesamento,
sento che manca qualcosa di importante. Ho apprezzato la scelta di
Forsythe di due bandiere così che il movimento non abbia un punto
focale ma due. Tuttavia questo si collega all’immagine antropomorfa
delle braccia, anche se i robot sono situati sul pavimento e non
attaccati ad un oggetto unico. Penso inoltre che il movimento del
tessuto nell’aria sia particolarmente interessante, con i tre
elementi di questa installazione che interagiscono fra loro: uno è
dato dai robot, il secondo dalle bandiere e “l’aria è il terzo
giocatore invisibile, si deve praticamente coreografare l’aria e le
bandiere” (Forsythe, 2017). Questo aspetto mi ha ricordato due
performance: la
Danza serpentina (1891) di Loïe Fuller e l’assolo di Martha Graham
“Specter 1914” tratto da Chronicle (1936). Fuller utilizzò metri
di stoffa cuciti assieme a due bacchette che vennero utilizzate per
estendere la lunghezza delle braccia e amplificare il volume del
tessuto in movimento. Il suo corpo scompariva e veniva sostituito da
curve e spirali plasmate dal costume. Qui un esempio danzato non da
Fuller ma da una delle sue rivali e filmato dai fratelli Lumière:
L’assolo
di Graham è meno ritmato nella manipolazione della stoffa. Il
costume è fatto di un top attillato nero con le maniche lunghe e di
una gonna molto lunga aperta dietro. Ad un certo punto, la danzatrice
inizia a muovere la gonna dal basso verso l’alto, rivelando il
colore interno che è rosso (un’altra versione della bandiera
anarchica era rossa e nera). Ripete questo gesto diverse volte e,
come nel caso di Fuller, la sua figura sembra venir riplasmata dal
tessuto in movimento. Qui l’assolo danzato da Katherine Crockett,
che è stata principal dancer della Martha Graham Dance Company:
Bandiere,
enormi bandiere, bandiere in movimento, bandiere che eseguono una
coreografia, bandiere come simboli controversi. Black Flags fa
riflettere, è un’affascinante manifestazione di elementi
coreografici, con una questione assente, un’affermazione (di
qualsiasi tipo) sul simbolismo della bandiera, che considero come
l’elefante nella stanza (espressione di matrice anglofona usata per
parlare di una questione molto evidente che però viene evitata).
Come ha scritto il poeta John Agard nella sua poesia “Bandiera”:
È solo un pezzo di stoffa
che mette una nazione in ginocchio (Agard, 2004).
REFERENCES
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19 marzo 2019
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