Marco Travaglini, Alberto Spadolini – Galeotto fuil lenzuolo. Arte, amore e spionaggio nella Parigi Anni Trenta, youcanprint.it, 2019.
Non è facile scrivere di Alberto Spadolini: il suo archivio
comprende documenti eterogenei, come articoli in differenti lingue
(fra cui il francese e il fiammingo) e fotografie che non è semplice
inserire nel percorso della sua carriera. Marco Travaglini, suo
nipote e biografo, ha rinvenuto materiale sullo zio sin dal 1978 e lo
ha studiato almeno dal 2004. Grazie a lui la vita di Spadolini è
emersa dalle nebbie dell’oblio. Alberto Spadolini – Galeotto fuil lenzuolo. Arte, amore e spionaggio nella Parigi Anni Trenta è
l’ultimo libro di Travaglini, un romanzo basato, per la maggior
parte, su documenti. Il titolo fa riferimento al debutto di Spadolini
come danzatore, avvenuto nel 1932. Non avendo un costume, scelse un
lenzuolo che fu notato per l’originalità. In molte fotografie,
compreso il raffinato ritratto fattogli da Dora Maar e scelto come
copertina del libro, Spadolini indossa diversi tipi di tessuti
(sciarpe, mantelli, ecc.) a mo’ di ornamento, forse come ricordo di
quel debutto.
Spadolini (1907-1972) è stato un famoso danzatore di music-hall
nella Parigi degli anni Trenta e, in seguito, un apprezzato pittore,
in Francia e all’estero. Fu anche cantante, attore, decoratore, restauratore e regista.
Travaglini apre il libro citando un altro romanzo dedicato a
Spadolini, Il Gioco di Spadò di Augusto Scano, pubblicato nel 2015.
Spadolini sta morendo in un ospedale e qualcuno (la Morte? Un amico?)
gli chiede se desidera danzare e lo invita a farlo come non ha mai
fatto prima. È questa un’introduzione significativa in quanto,
come ho avuto modo di sottolineare nel 2007, la danza rappresenta un
filo rosso nella carriera di Spadolini, anche dopo che smise di
danzare, dato che ritorna costantemente nei suoi quadri.
La narrazione è suddivisa in due filoni principali: uno
ambientato nel 2015 e dedicato al personaggio fittizio di Dora,
italiana americana che ha un dottorato in arte rinascimentale e alla
quale viene assegnato il compito di scrivere un libro sulla danza
nella Parigi degli anni Trenta; l’altro incentrato sulla vita di
Spadolini che va dagli anni Venti agli anni Settanta. La casa
editrice di Dora le chiede di trovare “una chiave, un protagonista,
qualcosa o qualcuno che possa diventare il soggetto del libro”.
Sorpresa, Dora scopre l’esistenza di una figura sconosciuta che
porta il suo stesso cognome, “ Josephine Baker e… Spadolini? Ma è
il mio stesso cognome!”. Così ha inizio la sua avventura alla
ricerca di Spadolini che la condurrà in Italia e in Francia, in
compagnia di un archivista di nome Maurizio.
La vita di Spadolini scorre tra le pagine tramite dei flash-back
regolari che spostano l’azione a quando l’artista incontrò
Gabriele D’Annunzio e Anton Giulio Bragaglia nell’Italia degli
anni Venti, quando divenne famoso danzatore nella Francia degli anni
Trenta, quando danzò di fronte a Hitler nel 1940, quando si esibì con Walter Chiari in Italia
dopo la Seconda Guerra Mondiale e così
via fino agli ultimi anni.
Molti di questi flash-back si distinguono per il loro interesse
storico. Per esempio, il collegamento Spadolini-D’Annunzio pone
diverse riflessioni. Da un lato lo storico Giordano Bruno Guerri lo
considera probabile, ma dall’altro sottolinea il fatto che non ci
siano fonti al riguardo. In realtà le fonti ci sono, ma non
provengono dal periodo in cui i due si sarebbero conosciuti, ossia
gli anni Venti [1], bensì da molto dopo, il 1971, quando Philippe
Jullian pubblica la sua biografia sul poeta italiano. Forse Guerri fa
riferimento alla mancanza di fonti primarie (appunto più vicine al
tempo dell’avvenimento) e non alla presenza di quelle secondarie come è quella di Jullian. Un dibattito sulle fonti ci poterebbe troppo lontano, ma
possiamo brevemente ragionare su questa.
Jullian ringrazia Spadolini nella pagina dei ringraziamenti ma non
lo nomina nell’episodio che riguarda l’incontro col poeta al
Vittoriale. Ci si chiede il perché. Spadolini forse gli chiese
esplicitamente di non scrivere il suo nome? E perché lo avrebbe
fatto? Jullian non era uno scrittore qualsiasi: nato come
illustratore, aveva scritto diversi romanzi per poi dedicarsi alla
storia dell’arte e allo studio biografico. Il suo libro sul
Simbolismo, Esthètes et Magiciens, aveva contribuito alla
sua riscoperta ed era stato tradotto in inglese. Diversi suoi libri,
compreso quello su D’Annunzio, sono stati tradotti in italiano.
All’incontro fra Spadolini e D’Annunzio dedica un paio di pagine
che non rappresentano un aspetto fondamentale della vita di
D’Annunzio e neanche una porzione sostanziale del libro: avrebbe
potuto semplicemente toglierle, ma non lo fece. In aggiunta, come già
specificato dallo stesso Travaglini, questa fonte è stata confermata
da Patrick Oger, che conosceva Spadolini bene.
Considerando Jullian da un’altra prospettiva, potremmo guardare
a ciò che egli in realtà non dice. Infatti quando ringrazia
Spadolini, lo chiama “il celebre ballerino” senza dire nulla sui
suoi dipinti. Perché? Mostre sui quadri di
Spadolini erano state organizzate sin dagli anni Quaranta, qual è
la ragione di questa omissione? Al momento non è chiaro, ma sappiamo
che Spadolini teneva molto ai suoi quadri già negli anni Venti,
quando studiava arte a Roma.
Uno dei suoi primi dipinti più importanti fu un San Francesco,
completato nel 1925. A quel tempo Spadolini non aveva la possibilità
di tenere il quadro al sicuro con sé a Roma e lo portò ad Ancona
presso la casa dei genitori. Purtroppo suo padre Angelo, che aveva
rifiutato di aderire al Partito Fascista, aveva perduto il lavoro e
decise di venderlo. Quando lo scoprì, Spadolini si arrabbiò molto.
Tentò di rintracciare il dipinto e scoprì che era stato venduto ad
una chiesa statunitense di Bradford, New York. Quando andò in
tournée negli Stati Uniti, assunse un fotografo per far fare una
foto all’opera e questo è tutto ciò che abbiamo oggi di quel
quadro. Il suo attaccamento emerge anche dalla decisione di diventare
terziario francescano, probabilmente dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Travaglini dedica una pagina intensa alla devozione dello zio per il
santo, citando le sue stesse parole: “Francesco mi ha insegnato a
dare per la gioia di dare, a sentirmi felice di quanto possiedo, a
considerare i ricchi come i veri poveri perché spesso sono poveri
nello spirito e nell’anima”.
Le parole di Spadolini tornano in altre parti del
libro, come accade per il suo articolo del 1935, “Impressioni
d’America” che Travaglini aveva ripubblicato anche nel suo libro
del 2012, Spadò – Il danzatore nudo. Spadolini parla degli Stati
Uniti dopo esser tornato da una tournée, “una città americana si
mostra come un esempio continuo della velocità umana”. Fa il
confronto fra i music-hall parigini e quelli statunitensi,
sottolineando la fama della capitale francese, “in generale, quando
la produzione mostra l’etichetta francese è alle stelle”.
Critica inoltre il razzismo nordamericano, dopo aver invitato
l’artista nera Alma Smith a cena con lui ed aver notato
l’“indicibile repulsione tanto verso la razza gialla che quella
nera”.
Dora e Maurizio scoprono informazioni su Spadolini grazie a questi
e a molti altri documenti, commentandoli e formulando domande sulla sua
vita. In questo senso, il libro di Travaglini si occupa tanto della
figura di Spadolini quanto dell’atto complesso di scrivere un libro
su di lui. A tal proposito un altro personaggio emerge tra le pagine,
un blogger che pubblica articoli poco attendibili su Spadolini. Il
suo lavoro, ispirato ad un libro esistente, Alberto Spadolini –
Danzatore, pittore, agente segreto di Ignazio Gori, mostra la grande
differenza tra uno studio lungo quattordici (e più) anni, come è
il libro di Travaglini, e la prospettiva di
Gori, dove i ritrovamenti di Travaglini (a cominciare dallo scatolone
del 1978) vengono menzionati senza fare riferimento alla fonte e dove
la copertina, che presenta una foto di Spadolini al contrario (cosa
dovrebbe pensare la gente che la vede? Che Spadolini danzasse a testa
in giù?), già da sola dà l’idea della mancanza di professionalità del testo. Peggio
ancora, il libro viene descritto come lo ‘studio’ che restituisce
“il giusto peso alla sua [di Spadolini] opera”, dando così vita
ad una falsità tra coloro che non sanno nulla né di
Spadolini né di Travaglini, un atto molto grave e privo di rispetto. Attraverso il personaggio del blogger,
Travaglini mette in discussione e decostruisce il libro di Gori,
restituendo al lavoro di ricerca che ha condotto nel corso degli anni e allo zio il rispetto che
meritano, “‘Il tuo blogger’- si accalorò Dora - ‘allude a
qualcosa, ma quali prove porta?’. ‘Nessuna!’, rispose
Maurizio”.
NOTA
[1] Esiste una fonte indiretta del periodo che attesta la presenza
di Duilio Cambellotti al Vittoriale. Secondo Pierfranco Andreani, che
scrisse una breve introduzione biografica all’interno dell’opuscolo
sulla mostra romana di Spadolini del 1967, Spadolini divenne allievo
di Cambellotti mentre studiava presso l’Accademia di Belle Arti
della capitale. È quindi plausibile supporre che lo accompagnò al
Vittoriale.
6 dicembre 2019
Complimenti per la recensione. Sei fantastica.
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