Dal 20 al 30 settembre 2012 la città di Bari sarà investita dalla settima edizione di Visioni di PArte, il festival internazionale di danza contemporanea e arti performative (qui il sito). Un festival “la cui identità si basa su una qualità ed originalità di progetti e spettacoli (…) lontano dai circuiti ufficiali”. Vi saranno quindi performance all’interno di spazi urbani come a teatro, workshop e mostre fotografiche oltre che una lezione di teoria della danza. Insomma un ricco programma la cui vitalità è perfettamente espressa dal movimento simbolo del festival, il salto, l’atto del saltare, che figura nella colorata locandina come pure in una campagna promozionale lanciata su facebook.
Vorrei prendere spunto da questo movimento per avviare una
breve riflessione sul salto. Un salto può essere fatto a piedi uniti o partendo
con un piede per atterrare con l’altro o anche partendo con un piede e
ricadendo sempre con lo stesso piede.
Nel linguaggio della danza vi sono moltissimi tipi di salto
che variano a seconda dello stile e della tecnica utilizzati. Nella danza
irlandese la dinamica di movimento è pressoché data dal saltare assieme ad una
ritmata articolazione dei piedi (qui un esempio tratto dal celebre spettacolo
Riverdance). Nella tecnica Graham il saltare è spesso ancorato al senso di
gravità come accade al Bison jump (salto del bisonte) dove il viso del
danzatore è rivolto verso il basso e il torso è pressoché orizzontale rispetto
al pavimento e in contrazione (termine specifico della tecnica Graham che fa
riferimento al movimento del ripiegarsi su se stesso del torso) (qui un'immagine) o il March jump
(salto di marzo), che prevede il torso in posizione perpendicolare al pavimento
e le gambe entrambe leggermente piegate, una avanti e l’altra indietro (qui
un’immagine). Venne chiamato così in quanto fu eseguito per la prima volta dal
personaggio di Marzo (interpretato da Merce Cunningham) nella coreografia
Letter to the World del 1940-41. Nella danza classica vi sono salti gloriosi
fatti di precisione ed eleganza come il grand jeté, che consiste in una
spaccata in aria con spinta in avanti, (qui un esempio).
Rudolf Laban, nella sua analisi del movimento, stabilì tre
livelli principali: basso, per i movimenti a terra, medio per quelli stando in
piedi e alto per i movimenti in relevé e per i salti. Nel salto il corpo si
stacca momentaneamente da terra per entrare in una dimensione di sospensione. A
questo proposito viene in mente l’eccezionale capacità di elevazione di Rudolf
Nureyev che faceva restare il pubblico col fiato sospeso per la sua capacità di
‘restare’ per aria (qui un’immagine).
Il salto è forse il residuo ultimo e liminale dell’eterna
aspirazione che l’essere umano ha per il volo. Icaro, grazie all’abilità del
padre Dedalo che gli costruì delle ali, riuscì a prolungare la dimensione di
sospensione di cui sopra, ma solo fino a quando per imprudenza si avvicinò troppo al sole, provocando lo scioglimento della cera
che teneva insieme le piume delle sue ali e cadendo precipitosamente verso la
morte.
L’atto del saltare è comunque di solito collegato, come ben
sottolinea il motto di Visioni di (p)arte, “dacci un salto”, alla gioia, alla
spensieratezza (da cui l’espressione “fare i salti di gioia”). E la campagna
promossa dal festival su facebook propone soprattutto salti di gioia: dal
salto di un gatto in una busta a quello goffo di Bart Simpson, da quello di
tanti pesciolini rossi a quello dei Beatles. Il salto diviene quindi mantra
cinetico per scacciare i pensieri cattivi, per esorcizzare la precarietà che tanto
perseguita l’arte e la cultura e soprattutto per vivere la realtà che ci
circonda con energia ed un pizzico di ilarità!
18 settembre 2012
18 settembre 2012
Un salto può anche essere fatto partendo con due piedi e ricadendo su uno solo... oppure, viceversa, partendo con un piede per ricadere su due... Comunque, a parte la precisazione, ottime riflessioni sul SALTO!
RispondiEliminaGrazie Valeria, hai perfettamente ragione...*_*
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