giovedì 15 ottobre 2020

Danzare dentro la città

 


Secondo Wolf Bukowski nelle nostre città si sta vivendo una guerra “contro poveri, migranti, movimenti di protesta e marginalità sociali”, in nome del decoro e della sicurezza, categorie senza senso perché disancorate rispetto al sociale così che alla fine quasi contano più le fioriere che “le vite umane”. Mi chiedo cosa penserebbero i promotori del decoro e della sicurezza di Palermo Palermo, stück di Pina Bausch del 1989.

Esempio delle coreografie che Bausch ha dedicato al viaggio, si apre con un momento shock: la caduta di un muro di mattoni che rimanda alla caduta del muro di Berlino anche se Bausch è stata reticente al riguardo. Questo incipit rimanda anche ai lavori di ristrutturazione e demolizione che avvengono nelle città, nonché alle barriere architettoniche di cui si parla ma poco si fa. Quello che è interessante è che i mattoni del muro restano in scena e rappresentano parte integrante della scenografia che consta di oggetti, materiali e liquidi.

Insieme costituiscono una sorta di spazzatura dell’anima in quanto gli interpreti interagiscono di volta in volta con essi, inscenando, come sottolinea Roberto Giambrone, “la condizione femminile, le contraddizioni della società contemporanea, i rapporti conflittuali, la difficoltà di comunicare, la solitudine, lo smarrimento, la malinconia e un’indefinibile nostalgia”.

Non mancano frasi coreografiche ripetute, come è tipico di Bausch e neanche scenette comiche, come quella della donna con gli spaghetti sottobraccio che si rivolge al pubblico con fare aggressivo, tirandone fuori uno ad uno. Giambrone nota inoltre come “i danzatori compiano azioni che tradiscono il bisogno di solidarietà, di complicità nel pericolo”, come quando spesso un danzatore solleva o sostiene un altro.

Alcuni critici hanno notato come emerga però un’atmosfera desolata e violenta. C’è per esempio una scena in cui una donna stesa a terra viene legata mani e piedi. Si alza e si muove a fatica per poi raccontare una storia di suicidio agghiacciante.

Sono questi i risultati del metodo Bausch, secondo cui ogni stück o pezzo, come chiama le sue opere, viene costruito assieme agli interpreti ai quali vengono rivolte delle domande atte a far scaturire gesti e frasi coreografiche, “da cucire poi orizzontalmente”, secondo Elisa Vaccarino, “senza un ordinamento gerarchico, in pezzi assemblati per la scena, cioè per un teatro dell’esperienza denso e trasparente insieme”.

Alla domanda su cosa sia uno stück, Bausch risponde: “è una piccola parte di quello che sento e che ho dentro di me. (…) All’inizio non c’è niente, solo un sentimento, follemente preciso; poi emergono, a tastoni, molte, molte piccole storie; nel periodo delle domande, ognuno risponde liberamente con movimenti o con parole a ciò che chiedo; (…) raccolgo appunti su tutto, poi seleziono le proposte, scartando la maggior parte di ciò che è venuto fuori, per arrivare a una forma che assomigli all’idea che me n’ero fatta”.

In Palermo Palermo quindi si danza la città, ma anche e soprattutto dentro la città, dentro le sue emozioni e le sue vibrazioni più forti, senza soglie di sicurezza o decoro.

 

QUI si può ascoltare la puntata


Per approfondire:

Bausch, Pina, in “Colloquio con Pina Bausch”, in Elisa Vaccarino, Altre scene, altre danze (Torino: Einaudi, 1991).

Bukowski, Wolf, La buona educazione degli oppressi – Piccola storia del decoro (Roma: Alegre, 2019).

Giambrone, Roberto, Pina Bausch – Le coreografie del viaggio (Macerata: Ephemeria, 2008).

Vaccarino, Elisa, Altre scene, altre danze (Torino: Einaudi, 1991).

 

15 ottobre 2020

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