venerdì 9 ottobre 2020

Le Scissure del covid – come moltiplicando i nostri spazi interni ci salveremo dalla gabbia del covid

Foto Roberto Frey.
 William Kennick, in un articolo apparso nel 1958 su “Mind”, ci pone un interessante paradosso: “Supponiamo che una persona si trovi davanti all’ingresso di un grande magazzino nel quale siano state accumulate opere d’arte di ogni genere insieme ad altri oggetti di uso comune e che qualcuno le dica: vai all’interno e tira fuori tutte le opere d’arte, e solo esse”.

È subito lampante la quantità di riflessioni che questa provocazione ci mette di fronte: quando si può dire che un determinato fenomeno è arte, e in cosa l’arte assolve la sua funzione, sono solo due dei quesiti che ci possiamo porre.

La quarantena, e più in generale il fenomeno covid, ci pone davanti a simili ragionamenti: in questo enorme magazzino che è stato l’isolamento sociale, l’arte e la produzione artistica sono stati gli spesso bistrattati protagonisti. I balconi di ogni città si sono riempiti di cantanti, musicisti, attori e performer improvvisati. Presi singolarmente, questi fenomeni sono ben lontani dal poter essere considerati espressioni artistiche. Cosi come, prese singolarmente, le creazioni artistiche di un paziente psichiatrico difficilmente possono essere considerate opere d’arte. È solo quando Dubuffet riconosce l’importanza di queste opere a livello sociale e terapeutico, che assumono dignità artistica sotto il nome di Art Brut. Questo potrebbe quindi portarci a domandare se il fenomeno delle espressioni performative dalle terrazze, prese nella loro dimensione collettiva, giungeranno mai un giorno ad acquisire una qualche forma di riconoscimento accademico, ben contestualizzato ovviamente nel tempo e nello spazio, e quindi se si potrà mai aprire una discussione attorno all’utilità di espressioni artistiche tali.

Una frase che ha fatto scalpore in quarantena è stata quella del presidente del consiglio Conte, che in occasione del decreto rilancio ha citato i lavoratori del settore spettacolo ricordandoli come “i nostri artisti, che ci fanno tanto divertire”. È evidente che questa espressione, detta in modo bonario, non ha pretesa di esaurire le funzioni del mondo dell’arte in maniera esclusivamente ludica e di intrattenimento. È però un dato come nel periodo di quarantena, i live streaming di attori, performer e musicisti siano proliferati e come effettivamente siano stati utili nell’assolvere l’arduo compito di mantenere alto il morale di tutti coloro che per mesi sono stati confinati in casa, spesso in situazioni di solitudine e difficoltà economiche.
Foto Alessandro Menga.

A questi due fenomeni artistici – le esibizioni spontanee dai veroni, e le performance online dei lavoratori del mondo dello spettacolo - si contrappone una terza via: quella di tutti coloro che, pur avendo una professione che si attua di fronte a un pubblico hanno scelto di vivere l’esperienza dell’isolamento sociale senza produrre nulla ne mostrarsi sotto i riflettori domestici, ma usando questo tempo per riflettere e ampliare il proprio immaginario interno, creando spazio di riflessione dove spazio non ce ne era invece di rispondere al confinamento con un’esplosione verso l’esterno.

Il progetto “Le scissure del covid” nasce da persone che han scelto questa ultima via. Da una parte, Giorgia Sestilli, bibliotecaria di Casa delle Culture di Ancona, che ha digitalizzato il Fondo Marinelli, andando quindi a portare nel web contenuti che stonano con il mondo online: volumi, opere e manoscritti, importanti testimonianze storiche che risalgono all’800 legate alla storia di Ancona.

Dall’altra le altre due anime di questo progetto, Stefania Zepponi - danzatrice e coreografa - e Rosella Simonari - storica della danza; insieme hanno sviluppato una riflessione intorno al concetto di distanziamento sociale creando un progetto articolato che non va a criticare le misure di contenimento, bensì si interroga su di esse, analizzando attraverso la lente della danza concetti come lo spazio, la prossimità, le corrispondenze tra corpi e che assieme al contributo di Giorgia vanno a toccare il cuore di questa performance: come l’arte e l’artista diventino fondamentali solo se toccati dallo sguardo dei fruitori.

Foto Alessandro Menga.

Il primo momento di questo ciclo di tre appuntamenti (avvenuto nella suggestiva cornice del tempio di san Rocco, nella Mole Vanvitelliana di Ancona) si compone di una riflessione-dialogo guidato da Stefania e Rosella in cui il pubblico viene chiamato a condividere le proprie suggestioni riguardo a come l’esperienza della quarantena abbia influenzato la percezione di distanze e misure, le corrispondenze tra persone e la fruizione dell’ambiente che ci circonda. Ma non si limita a questo: il pubblico viene guidato in un brain storming basato non esclusivamente sulla logica ma in maniera preponderante sulle intuizioni liriche dei partecipanti, che forniscono parole legate a concetti dell’area semantica della quarantena come il distanziamento, il rapporto con altri corpi nello spazio e l’emotività che il porre l’attenzione su questi concetti provoca. Su cinque di queste parole, sorteggiate in maniera casuale, viene chiesto al pubblico di esprimere un gesto. Grazie a questi gesti viene poi montata una Line (forma espressiva ideata da Pina Bausch basata su gesti del quotidiano in sequenza danzati su un camminare ritmico nello spazio), gesti che diventano forme significanti della quarantena nella sua trasposizione performativa. Questa sequenza diviene definizione stessa di come l’arte e l’espressione fisica possa divenire catartica e aiutare il fruitore nell’elaborare momenti di vita difficili o semplicemente nuovi: il movimento diviene forma d’arte: come avrebbe detto Hegel, esistenza sensibile dell’idea, messa in opera della verità.

Foto Ennio Pennacchioni.

La fine della line coincide fisicamente con l’inizio dell’ultima tappa di questo percorso, all’interno della Mole Vanvitelliana. La sala è allestita per consentire la fruizione del fondo Marinelli, preziosa raccolta di volumi storici digitalizzata da Giorgia. Sul lato distale rispetto all’ingresso è posizionato infatti un tablet da cui si può accedere al catalogo online. All’interno della sala si respira un’atmosfera molto diversa rispetto a quella appena trascorsa durante la line: se gli spazi aperti e ampi della corte interna della Mole permettono infatti di poter rispettare le misure di prevenzione e distanziamento conservando tuttavia un certo grado di libertà spaziale, all’interno della sala la fila per arrivare al tablet impone un rigido collocamento predefinito. La stanza in cui si snoda la fila è divisa a metà da un cordone di sicurezza, oltre cui Giorgia e Stefania si trovano in maniera apparentemente casuale. In realtà non stan così le cose: le due performer, nel momento in cui si accorgono di avere addosso lo sguardo, magari curioso, magari sbadato, di uno dei partecipanti iniziano a instaurare una relazione performativa con il pubblico, in cui la danza di Stefania e le letture di Giorgia vengono proposte in maniera del tutto inaspettata e frammentaria.

L’attenzione e il riconoscimento della platea è, effettivamente, ciò che permette all’arte di manifestarsi e essere. Questo avviene sia nella fruizione online che in presenza. Il discrimine è costituito dal fatto che in ultima analisi vi è la presenza fisica dei fruitori dell’atto performativo, e questo non può che influenzare la relazione con l’opera determinata. Le Scissure del Covid ci lascia con questo messaggio: l’esperienza online non può sostituirsi alla fruizione in loco, ma affiancarsi ad essa per moltiplicare le possibilità immaginifiche di performer, artisti e artigiani.


Giovanni Purpura



9 ottobre 2020

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