martedì 18 settembre 2012

Sul salto - Visioni di (p)arte


Dal 20 al 30 settembre 2012 la città di Bari sarà investita dalla settima edizione di Visioni di PArte, il festival internazionale di danza contemporanea e arti performative (qui il sito). Un festival “la cui identità si basa su una qualità ed originalità di progetti e spettacoli (…) lontano dai circuiti ufficiali”. Vi saranno quindi performance all’interno di spazi urbani come a teatro, workshop e mostre fotografiche oltre che una lezione di teoria della danza. Insomma un ricco programma la cui vitalità è perfettamente espressa dal movimento simbolo del festival, il salto, l’atto del saltare, che figura nella colorata locandina come pure in una campagna promozionale lanciata su facebook.


Vorrei prendere spunto da questo movimento per avviare una breve riflessione sul salto. Un salto può essere fatto a piedi uniti o partendo con un piede per atterrare con l’altro o anche partendo con un piede e ricadendo sempre con lo stesso piede.
Nel linguaggio della danza vi sono moltissimi tipi di salto che variano a seconda dello stile e della tecnica utilizzati. Nella danza irlandese la dinamica di movimento è pressoché data dal saltare assieme ad una ritmata articolazione dei piedi (qui un esempio tratto dal celebre spettacolo Riverdance). Nella tecnica Graham il saltare è spesso ancorato al senso di gravità come accade al Bison jump (salto del bisonte) dove il viso del danzatore è rivolto verso il basso e il torso è pressoché orizzontale rispetto al pavimento e in contrazione (termine specifico della tecnica Graham che fa riferimento al movimento del ripiegarsi su se stesso del torso) (qui un'immagine) o il March jump (salto di marzo), che prevede il torso in posizione perpendicolare al pavimento e le gambe entrambe leggermente piegate, una avanti e l’altra indietro (qui un’immagine). Venne chiamato così in quanto fu eseguito per la prima volta dal personaggio di Marzo (interpretato da Merce Cunningham) nella coreografia Letter to the World del 1940-41. Nella danza classica vi sono salti gloriosi fatti di precisione ed eleganza come il grand jeté, che consiste in una spaccata in aria con spinta in avanti, (qui un esempio).

Rudolf Laban, nella sua analisi del movimento, stabilì tre livelli principali: basso, per i movimenti a terra, medio per quelli stando in piedi e alto per i movimenti in relevé e per i salti. Nel salto il corpo si stacca momentaneamente da terra per entrare in una dimensione di sospensione. A questo proposito viene in mente l’eccezionale capacità di elevazione di Rudolf Nureyev che faceva restare il pubblico col fiato sospeso per la sua capacità di ‘restare’ per aria (qui un’immagine).

Il salto è forse il residuo ultimo e liminale dell’eterna aspirazione che l’essere umano ha per il volo. Icaro, grazie all’abilità del padre Dedalo che gli costruì delle ali, riuscì a prolungare la dimensione di sospensione di cui sopra, ma solo fino a quando per imprudenza si avvicinò troppo al sole, provocando lo scioglimento della cera che teneva insieme le piume delle sue ali e cadendo precipitosamente verso la morte.

L’atto del saltare è comunque di solito collegato, come ben sottolinea il motto di Visioni di (p)arte, “dacci un salto”, alla gioia, alla spensieratezza (da cui l’espressione “fare i salti di gioia”). E la campagna promossa dal festival su facebook propone soprattutto salti di gioia: dal salto di un gatto in una busta a quello goffo di Bart Simpson, da quello di tanti pesciolini rossi a quello dei Beatles. Il salto diviene quindi mantra cinetico per scacciare i pensieri cattivi, per esorcizzare la precarietà che tanto perseguita l’arte e la cultura e soprattutto per vivere la realtà che ci circonda con energia ed un pizzico di ilarità! 


18 settembre 2012

2 commenti:

  1. Un salto può anche essere fatto partendo con due piedi e ricadendo su uno solo... oppure, viceversa, partendo con un piede per ricadere su due... Comunque, a parte la precisazione, ottime riflessioni sul SALTO!

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  2. Grazie Valeria, hai perfettamente ragione...*_*

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