martedì 7 ottobre 2014

Il toro, la mucca, il ritmo e la danza

TOROBAKA DI ISRAEL GALVÁN E AKRAM KHAN 
Romaeuropa Festival, Auditorium della Conciliazione, Roma, 25 Settembre 2014, ore 21

Khan and Galván, foto Jean Louis Fernandez.
Ci sono un toro e una mucca ('toro' e 'baka' nel titolo), violenza e pace, flamenco e kathak e c'è un po' di Spagna e India in Torobaka di Israel Galván e Akram Khan, spettacolo che ha aperto il festival Romaeuropa 2014. Secondo gli stereotipi la Spagna viene associata al flamenco e ai tori e l'India al kathak e alle mucche, ma questa coreografia è molto di più, in quanto ci porta in una dimensione dove l'eccellenza, l'ironia, l'intensità, il confrontarsi e il ritmo si mescolano in una performance superba.

Innanzi tutto il flamenco del coreografo e danzatore spagnolo Israel Galván è e non è flamenco, è piuttosto uno stile fenomenale che lo decostruisce dal didentro, spezzandone le linee e portando la sua natura percussiva a livelli quasi aerei. Poi vi è il kathak di Khan, che nel suo provocatorio lavoro coreografico, viene reinventato e miscelato con la danza contemporanea, fornendo un senso di appartenenza e una qualità tridimensionale al corpo in movimento.

Ecco già che le immagini iniziali di toro e mucca si sono sgretolate, perché Torobaka ha sì a che fare con l'incontro con l'Altro, ma è anche un oltrepassare simboli e stereotipi per raggiungere il ritmo pulsante in cui noi tutti viviamo. Possiamo chiamrlo un duetto? Galván e Khan sono i soli due danzatori sul palco e interagiscono molto fra loro, però il termine 'duetto' ha solo senso se lo moltiplichiamo, trasformandolo in una serie stratificata di altri che giocano un ruolo fondamentale nel pezzo: mi riferisco ai due musicisti, Bobote e B. C. Manjunath, ai due cantanti, David Azurza e Christine Leboutte e al ritmo e produzione di suoni.

La coreografia è suddivisa in varie sezioni e ha luogo su di un palco che in parte è coperto da una piattaforma circolare circondata dai musicisti e cantanti. All'inizio Galván e Khan sono entrambi scalzi mentre si affrontano, esplorando spazio e suono. Indossano lo stesso costume, una tunica che richiama il kathak e pantaloni aderenti che riportano al flamenco. Perfetto è il 'dialogo' fra
l'articolazione dei piedi di Galván e le percussioni di Manjunath.


Azurza, Galván, Leboutte, foto Jean Louis Fernandez.
Poi Galván indossa le sue scarpe di flamenco e danza un assolo al di fuori del cerchio, in avanti sulla destra, con un microfono. Di nuovo Manjunath è il suo alter ego che gioca con i movimenti di lui come Galván gioca con i suoni vocali di Manjunath. L'ironia è l'aspetto che emerge con più forza nella danza di Galván, irresistibile è il momento in cui punta il dito in alto esclamando "E.T. telefono casa". Questo è flamenco con piglio comico! Quando danza lo zapateado (movimento dei piedi nel flamenco) dentro il set di campane kathak di Khan, sappiamo che un cambiamento sta per avvenire e che Khan entrerà in scena.

Nella terza sezione Khan è a terra con un paio di scarpe di flamenco bianche sulle mani. Le suona sul palco, una contro l'altra alternando il loro suono con quello prodotto dalle sue ginocchia e testa. È come se il suono scorresse attraverso il suo corpo e potesse essere creato da qualsiasi cosa egli abbia o sia. Al posto dell'ironia di Galván qui abbiamo una densità profonda del movimento, persino quando Khan si diverte a 'dialogare' con Bobote che gli prende le scarpe di flamenco dalle mani per gettarle nelle quinte e iniziare a suonare las palmas (il battere delle mani del flamenco) provocando Khan. E Khan si siede su di una sedia e danza un assolo da seduto.

A questo punto i cantanti e musicisti si muovono al centro del palco in un ensamble di alta levatura. I cantanti Azurza e Laboutte sono impeccabili durante tutta la coreografia, cantando canzoni da tradizioni differenti come quella italiana e spagnola. In qualche parte sembrano rallentare il ritmo della danza, creando uno sbilanciamento inusuale, ma la loro bravura è ineccepibile per lo sfondo sonoro dei due performer.

L'ultima sezione è un'esplosione di movimento, suono e ritmo con Khan in totale simbiosi con le percussioni di Manjunath grazie alle sue ghungru (campane alle caviglie) che risuonano per tutto il teatro. Il ritmo è un elemento chiave in questo lavoro, un terreno comune per entrambi i danzatori. Da un punto di vista storico è difficile tracciare una via chiara che colleghi flamenco e kathak, ma, secondo alcuni, i gitani lasciarono l'India per viaggiare attraverso il Medio Oriente e l'Europa fino ad arrivare in Spagna. A questo proposito torna alla mente uno splendido documentario, Lacho Drom (1993) di Tony Gatlif dove vi sono pochi dialoghi, poiché il ruolo principale è dato dal ritmo della musica e della danza.

Khan, foto Jean Louis Fernandez.
Come spesso accade scopriamo che ciò o chi avevamo considerato l'Altro da noi è molto più simile a noi di quanto ci immaginavamo, è un animale che ci piace, una persona alla quale ci affezioniamo. In Torobaka vi sono due tipi di gesti che mi sono restati in mente e che si collegano a quanto appena detto, le mani giunte che sia Galván che Khan mostrano in più di un'occasione, puntandole verso il basso, verso il palco/terra dal/la quale così tanto del loro ritmo energetico proviene e i loro abbracci e il toccarsi che dimostra il loro legame artistico. Secondo Galván occorre uccidere il pubblico prima che il pubblico uccida te, questo il suo particolare motto che ci parla dell'elemento violento e aggressivo del flamenco, mentre la danza di Khan è come un'offerta, un dono che si fa al pubblico, come la mucca dona il latte al mondo nella religione induista. Di nuovo il toro e la mucca, la violenza e la pace che in Torobaka si tramutano in un dono così squisito che virtualmente uccide.
  
7 ottobre 2014

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