martedì 19 marzo 2019

Black Flags di William Forsythe e l'elefante nella stanza


Black Flags è una grande installazione che William Forsythe ha creato nel 2014 per uno dei suoi progetti denominati Choreographic Objects. Forsythe ha rivoluzionato il linguaggio della danza sin dalla fine degli anni Ottanta, con il suo stile radicale e decostruttivo nei confronti del balletto. Nel 2005 ha spinto la sua creatività ancora più oltre facendosi domande come, “è possibile per la coreografia generare autonome espressioni dei suoi principi, un oggetto coreografico, senza il corpo?” (Forsythe, senza data). Il risultato sono stati i Choreographic Objects, una serie di installazioni impegnative che potevano distinguersi per grandezza, materiale e struttura.


Black Flags è uno di questi, è gigante ed è fatto di due bracci robotici che tengono e muovono due bandiere nere. Il tessuto scuro e grande di ogni bandiera si muove a volte in unisono con l’altra, altre volte secondo una direzione o angolo differenti, “c’è una distribuzione di forze davvero unica” dice Forsythe, lodando la “bellezza e precisione” (Forsythe, 2017) di questi oggetti. Il rumore dei robot in azione è l’unica ‘musica’ del pezzo.

Non ho visto questa installazione dal vivo, ma ho sentito un senso profondo di spaesamento perturbante guardando il video della performance e ho iniziato a pensare al perché. La prima cosa che mi è venuta in mente sono gli sbandieratori italiani, artisti che muovono le bandiere in varie direzioni e in aria in composizioni acrobatiche. Non è chiara la loro origine, ma oggigiorno ci sono numerosi spettacoli di ispirazione medievale che includono l’esibizione degli sbandieratori il cui lavoro può essere certamente visto come un tipo di coreografia. Qui un paio di esempi, il primo è una registrazione dal vivo degli sbandieratori di Lanciano, il secondo è un ritratto video degli sbandieratori di Acquapendente:



Guardando le bandiere di Forsythe e gli sbandieratori si può notare l’inquietante (Forsythe stesso usa il termine ‘inquietare’, vedi Forsythe, 2017) calma delle prime e il brio dei secondi, c’è una connessione nell’abile manipolazione delle bandiere, ma una netta differenza nella dinamica.

Lo spaesamento continua, c’è qualcosa fuori posto in questa installazione, ma ancora non so cosa sia. Poi arriva la seconda associazione, è con la bandiera anarchica, che era di colore nero verso la fine dell’Ottocento e inizio del Novecento. Resa popolare da Louise Michel in Francia negli anni Ottanta del 1800, la ritroviamo poi in altri paesi come gli Stati Uniti (afaq, 2008). Secondo Howard Ehrlich, il colore nero fu scelto per l’associazione a vari elementi:

Il nero è la sfumatura della negazione. La bandiera nera è la negazione di tutte le bandiere. È la negazione della nazionalità che mette la razza umana contro se stessa e nega l’unità dell’umanità. Il nero è uno stato d’animo di rabbia e sdegno (…). Il nero è anche il colore del lutto. (…) Il nero è anche bello. È il colore della determinazione, risolutezza, forza, un colore attraverso il quale tutti gli altri vengono chiariti e definiti. Il nero è la zona misteriosa della germinazione, fertilità, il terreno dove si alleva di nuovo la vita che si evolve sempre, si rinnova, si ricarica e riproduce se stessa nell’oscurità” (Ehrlich, citato in afaq, 2008).

Ci sto arrivando. Questo senso di spaesamento è collegato all’idea di nazione/gruppo che la bandiera incorpora. E penso alle bandiere statunitensi piantate sulla Luna nel 1969 o, andando indietro, alla bandiera nel quadro di Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo (1830), dove l’allegoria della forma femminile (Warner, 1985) rappresenta l’ideale di Libertà e guida un gruppo di persone attraverso la guerra (più specificatamente si tratta della Rivoluzione di Luglio del 1830). La stessa bandiera tricolore diventerà poi la bandiera nazionale francese.

Forsythe, parlando di Black Flags, afferma che hanno lavorato duramente “per de-antropomorfizzare questi robot nelle loro azioni e abbiamo fatto tutto il possibile per rimuovere l’idea di dominio, sottomissione o scopo anche se si inserisce furtivamente dentro” (Forsythe, 2017). Non penso di essere d’accordo con questa idea. Le bandiere sono simboli molto sovraccarichi e connessi alla storia umana, la politica, la cultura e vari altri campi (c’è anche una disciplina che si occupa del loro studio, si chiama Vexillologia, dal latino ‘vexillum’, bandiera) e portano con sé segni di dominio e sottomissione. Scegliere delle bandiere per un’installazione senza entrare in relazione con questi segni significa perpetrarli in qualche modo. George Balanchine, per esempio, ha coreografato due balletti dedicati alle bandiere, Stars and Stripes (1958), per la bandiera statunitense e Union Jack (1976), per quella inglese, scegliendo un tono celebrativo e “tratti patriottici” (Balanchine Trust, nessuna data).

Trinket di William Pope.L, un’installazione del 2008 dove una gigantesca bandiera viene fatta sventolare da grossi ventilatori industriali e viene illuminata da diverse luci, è piuttosto differente in questo senso. Sembra una bandiera degli Stati Uniti ma non lo è in quanto Pope.L ha aggiunto una stella, che è un piccolo dettaglio in grado di scompaginarne l’aspetto simbolico. In modo simile, il titolo, che significa ‘ninnolo’ e, in questo caso, fa riferimento ad una spilla (magari a forma di bandiera), si pone in forte contrasto con la maestosità del simbolo della bandiera, “quando si parla di cose grandi, usate parole piccole” dice (Pope.L, 2015).


Christopher Knight riassume il lavoro come segue:
La promessa di uguaglianza del simbolismo della bandiera si comprende facilmente, ma ciò che rende la scultura grande è la sua profondità stratificata. Più difficile da rappresentare è il simbolo del potere, la cui fonte è controintuitiva: il simbolo è dinamico perché la sua promessa di uguaglianza non è stata mantenuta” (Knight, 2015).

Secondo Pope.L la bandiera “è uno spazio di disaccordo e accordo” e questo condensa il discorso articolato sul simbolismo della bandiera, soprattutto per l’uso del termine ‘spazio’, che rimanda alla radice geopolitica di molti conflitti.

Un altro artista, Robert Longo, ha creato nel 2014 una grande scultura di legno, acciaio e cera che ricorda una porzione di bandiera statunitense, a parte il fatto che è nera e costruita come se fosse una “nave che affonda” (Longo, 2016). La posizione eretta (quasi fallica) di una bandiera che sventola dalla sua asta viene decostruita e riplasmata secondo una diagonale minacciosa. Intitolata Untitled (Pequod) evoca la nave di Achab in Moby Dick (1851) di Herman Melville, una nave che alla fine naufraga come naufraga l’ossessione di Achab per la balena bianca. “Moby Dick è come il codice genetico dell’America” dice Longo, in quanto l’equipaggio è fatto di persone che vengono da culture differenti ma che sono guidate dai bianchi. E Achab “ha questa incredibile arroganza che è molto simile all’arroganza americana di oggi” (Longo, 2016).

Robert Longo, Untitled (Pequod).

Sia Pope.L che Longo affrontano il simbolismo delle bandiere, Forsythe non lo fa. Questa è probabilmente la causa del mio spaesamento, sento che manca qualcosa di importante. Ho apprezzato la scelta di Forsythe di due bandiere così che il movimento non abbia un punto focale ma due. Tuttavia questo si collega all’immagine antropomorfa delle braccia, anche se i robot sono situati sul pavimento e non attaccati ad un oggetto unico. Penso inoltre che il movimento del tessuto nell’aria sia particolarmente interessante, con i tre elementi di questa installazione che interagiscono fra loro: uno è dato dai robot, il secondo dalle bandiere e “l’aria è il terzo giocatore invisibile, si deve praticamente coreografare l’aria e le bandiere” (Forsythe, 2017). Questo aspetto mi ha ricordato due performance: la Danza serpentina (1891) di Loïe Fuller e l’assolo di Martha Graham “Specter 1914” tratto da Chronicle (1936). Fuller utilizzò metri di stoffa cuciti assieme a due bacchette che vennero utilizzate per estendere la lunghezza delle braccia e amplificare il volume del tessuto in movimento. Il suo corpo scompariva e veniva sostituito da curve e spirali plasmate dal costume. Qui un esempio danzato non da Fuller ma da una delle sue rivali e filmato dai fratelli Lumière:
 

L’assolo di Graham è meno ritmato nella manipolazione della stoffa. Il costume è fatto di un top attillato nero con le maniche lunghe e di una gonna molto lunga aperta dietro. Ad un certo punto, la danzatrice inizia a muovere la gonna dal basso verso l’alto, rivelando il colore interno che è rosso (un’altra versione della bandiera anarchica era rossa e nera). Ripete questo gesto diverse volte e, come nel caso di Fuller, la sua figura sembra venir riplasmata dal tessuto in movimento. Qui l’assolo danzato da Katherine Crockett, che è stata principal dancer della Martha Graham Dance Company:


Bandiere, enormi bandiere, bandiere in movimento, bandiere che eseguono una coreografia, bandiere come simboli controversi. Black Flags fa riflettere, è un’affascinante manifestazione di elementi coreografici, con una questione assente, un’affermazione (di qualsiasi tipo) sul simbolismo della bandiera, che considero come l’elefante nella stanza (espressione di matrice anglofona usata per parlare di una questione molto evidente che però viene evitata). Come ha scritto il poeta John Agard nella sua poesia “Bandiera”:

Cos’è che sventola nella brezza?
È solo un pezzo di stoffa
che mette una nazione in ginocchio (Agard, 2004).



REFERENCES

afag,"Appendix - The Symbols of Anarchy", in Anarchist Writers, 11 Ottobre 2008, http://anarchism.pageabode.com/afaq/append2.html (consultato 16 marzo 2019).

John Agard, “Flag”, in Half-Caste and Other Poems (London: Hodder Children’s Books, 2004), consultato in The Poetry Archive, https://www.poetryarchive.org/poem/flag (consultato 16 marzo 2019).

The George Balanchine Trust, “Stars and Stripes”, balanchine.com, nessuna data, http://balanchine.com/stars-and-stripes/ (consultato 16 marzo 2019).

William Forsythe, “Choreographic Objects – Essay”, nessuna data, williamforsythe.com, https://www.williamforsythe.com/essay.html (consultato 15 marzo 2019).

William Forsythe, “William Forsythe: Choreographic Objects”, Gagosian, 23 Ottobre 2017, youtube video, https://www.youtube.com/watch?v=WgQYc5xJc5w (consultato 16 marzo 2019).

Christopher Knight, “William Pope.L sets the U.S. flag waving at the MOCA/Geffen”, Los Angeles Times, 24 marzo 2015, https://www.latimes.com/entertainment/arts/la-et-cm-pope-l-moca-review-20150324-column.html (consultato 15 marzo 2019).

Robert Longo, “I Will Strike the Sun”, Out of Sync – Art in Focus, 18 maggio 2016, youtube video, https://www.youtube.com/watch?v=n-jZFOAw46I (consultato 15 marzo 2019).

William Pope.L, “William Pope.L: Trinket”, MOCA, 15 aprile 2015, youtube video, https://www.youtube.com/watch?v=h5wdIAtO4pU (consultato 15 marzo 2019).

Marina Warner, Monuments and Maidens – The Allegory of the Female Form (London: Picador, 1985). 


19 marzo 2019

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