giovedì 5 novembre 2020

Madre antimadre


In una società in cui ancora oggi si idealizza la figura materna come buona e brava a prescindere, la figura di Medea ci pone interrogativi profondi e dolorosi. Medea è madre e antimadre, amore e gelosia, magia e inganno. La più famosa versione della sua storia è forse quella di Euripide dove Medea avvelena Glauce, la donna con la quale il suo Giasone l’ha tradita, e commette l’atto inammissibile di uccidere i figli avuti con lui.

Nella danza vi sono vari adattamenti, come Cave of the Heart del 1946 di Martha Graham. Nel 2004 la compagnia Abbondanza Bertoni ne ha presentato uno di particolare interesse. Seconda opera della trilogia “Ho male all’altro”, affronta il tema dal punto di vista del sacrificio per amore, il sacrificio, come sottolineano i due coreografi, “di altri da sé”.

Secondo Francesca Pedroni, in questa Medea vi è la ricerca di “una qualità espressiva ‘deformata’ nel gesto e nei tempi dello spettacolo. Una qualità che tende alla creazione di una danza ‘da fantoccio’, che prende distanza dall’io e dall’autobiografismo”. E lo si vede sin da subito quando i personaggi entrano in scena e la loro dinamica oscilla fra staticità e movimenti a scatti.

L’atmosfera è complice di questo modo di accostarsi alla danza con la scenografia di Lucio Diana fatta di un ponte levatoio che scandisce la tre sezioni dell’opera, una nebbia presente spesso in scena e una serie di oggetti simbolo, come nota Valeria Morselli, atti a rimandare a suggestioni più che a significare letteralmente qualcosa. Fra questi le farfalle di carta che rimandano “all’innamoramento di Medea” e il tavolo, luogo di incontro fra Glauce e Giasone, ma anche tomba di Glauce stessa dopo che Medea l’ha avvelenata.

La Medea antimadre emerge soprattutto verso la fine quando Bertoni interpreta la scena del furore per il tradimento del marito, impugnando un lungo bastone in cima al quale è attaccata proprio una delle farfalle di carta. Per elaborare questa parte, i due coreografi si sono ispirati alle arti marziali, partendo dal tai chi per arrivare ad una dimensione “grottesca”, come la definisce Abbondanza.

Ed infine l’uccisione dei figli, eseguita quasi con tenerezza e rassegnazione. Dopo di che Medea siede sfinita a terra con le spalle rivolte verso il pubblico. Non è una scena di condanna, Medea non viene vista come cattiva madre, ma come una donna disperata che sacrifica la propria prole per amore. Bertoni ha lavorato duramente a questa scena poiché, essendo madre, le restava difficile entrarci. E nota che “quello dell’infanticidio è un argomento che una donna affronta nella speranza ultima di non trovarsi mai a commettere un atto simile”.

 

QUI si può ascoltare la puntata


Per approfondire:

Cervellati, Elena, Abbondanza Bertoni – Interviste sulle coreografia contemporanea, dirette da Susanne Franco (Palermo: L’Epos, 2005).

Morselli, Valeria, L’essere scenico – Lo Zen nella poetica e nella pedagogia della Compagnia Abbondanza Bertoni (Macerata: Ephemeria, 2007).

Pedroni, Francesca, “La coppia, voce del corpo, voce dell’anima”, www.abbondanzabertoni.it (consultato il 30 ottobre 2020).

 

5 novembre 2020

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