giovedì 15 agosto 2013

sul termine 'coreosofia'



Rudolf Laban nel suo studio a Dartington Hall (1938), Inghilterra. Foto della collezione Gordon Curt.
La parola 'coreosofia' deriva dal greco 'χορός' (coros, danza) e 'σοφία' (sofia, sapienza) e designa lo stratificato insieme di conoscenze che si hanno sulla danza. Il termine 'coreosofia' mette insieme la parola 'danza' e 'sapienza', come a suggerire che l'arte coreutica è in grado di produrre conoscenza, fatto importante se pensiamo che ancora oggi si tende a limitare la danza al movimento meccanico del corpo (che può pure andar bene, ma non è il discorso che si vuole fare in questa sede).

Fu utilizzata dal teorico della danza Rudolf Laban (nella foto) nel suo testo Choreutics (1966), oltre ad altri termini quali coreografia e coreologia, sui quali si tornerà in un altro momento. Laban fa riferimento al suo uso nell’antica Grecia: "la coreosofia sembra sia stata una disciplina complessa al tempo della cultura ellenica più alta" (Laban, 1966: viii) e parla anche del suo uso nella matematica di Pitagora (il termine 'coros' è anche riconducibile al significato di cerchio).  

In un altro testo, Laban aveva anche coniato la poetica espressione del 'pensare-in-movimento' e parlando del mimo sosteneva che si avesse "bisogno di un simbolo autentico della visione interiore per realizzare un contatto con il pubblico" che poteva essere raggiunto solo se si è "imparato a pansare in termini di movimento" (Laban, 1999: 23). Anche in questo caso unire le parole 'pensare' e 'movimento' rimanda ad un'idea di danza come di un'arte collegata a questioni dell'intelletto, anzi ad una capacità della danza di s/muovere l'articolazione del pensiero e del pensare.

Il termine 'coreosofia' ritorna negli scritti di Aurelio Milloss, il quale la definisce "la disciplina che si occupa della danza dal punto di vista morale" (Milloss, 2002: 64). In questo caso, quindi il termine 'sapienza' viene declinato secondo una visione diversa da quella da me suggerita. Più avanti Milloss prosegue dicendo che la coreosofia "è intesa ad analizzare in generale le apparizioni e manifestazioni della danza della vita umana" (Milloss, 2002: 64), proponendo una visione mistica del termine, laddove la danza viene considerata come l'arte dalla quale iniziano le altre arti, "così ebbe origine dal ritmo dei movimenti la danza, dal ritmo delle parole il verso, dal ritmo dei suoni il canto e la musica" (Milloss, 2002: 65). Il far risalire le altre arti alla danza per via del movimento che le accomuna, è un credo che, come sottolinea Stefano Tomassini, era già stato espresso da Curt Sachs nella sua celebre Storia della danza (Tomassini in Milloss, 2002: 65). Ora stabilire una gerarchia fra le arti nell'attuale panorama accademico dove prolifica la filosofia molecolare deleuziana come anche la messa in discussione della visione binaria e dicotomica della realtà (bianco/nero, natura/cultura, donna/uomo ecc.) non ha più molto senso e parlarne ora aprirebbe una digressione piuttosto lunga. Basti dire che secondo Milloss la coreosofia è uno strumento di analisi collegato alla danza inteso come fenomeno umano.

La parola 'coreosofia' torna nei disorsi di Alessandro Pontremoli allorquando egli tratta dei padri e delle madri della danza contemporanea definendo il loro lavoro con l'espressione di "pensiero coreosofico" (Pontremoli, 2004: xxi) e, parlando di Laban, riprende la definizione che abbiamo visto ne dà Milloss, dicendo che la coreosofia è la "filosofia della danza" e ne "stabilisce (...) i principi etici ed estetici" (Pontremoli, 2004: 70).

Di recente è stato creato il termine 'filmosofia' e Daniel Frampton ci ha scritto anche un libro, Filmosophy pubblicato nel 2006. Egli sottolinea che l'arte del cinema non ha solo a che fare con la riproduzione della realtà, quanto con la creazione di una nuova realtà (Frampton, 2006: 5). Il cinema, inoltre, ha prodotto un modo nuovo di pensare (Frampton, 2006: 7) per cui vi è la necessità di ragionare sul cinema in termini di 'mente' e 'pensiero' (Frampton, 2006: 10). Il discorso che egli fa è piuttosto interessante, ma sembra ricadere nella dicotomia mente/corpo e sembra lasciare indietro un'analisi della materialità del cinema. Il termine 'filmosofia' è per Frampton riconducubile esclusivamente a questioni dell'intelletto e della mente, mentre la coreosofia, come abbiamo visto, si concentra sullla sapienza che la danza può produrre integrando mente e corpo in una raffinata sinergia.

Parlando di grandi figure della danza (nel Novecento possiamo ricordare Martha Graham, Merce Cunningham, Trisha Brown, Anne Teresa de Keersmaeker,Tero Saarinen e la Compagnia Abbondanza Bertoni ecc), soprattutto di fgure che hanno sviluppato un sistema di coreo-pensiero attorno al loro fare danza, utilizzare il termine 'coreosofo/a' piuttosto che 'coreografo/a' sarebbe ausicabile per fornire un quadro più ampio del loro lavoro.

La danza ha una sua terminologia e 'coreosofia' è uno dei termini meno usati ma più stimolanti per sottolineare la complessità di ricerche sviluppate attorno al corpo in movimento. 

(Nota: le traduzioni dall'inglese, ove non specificato,sono a mia cura.)

TESTI CITATI

Daniel Frampton, Filmosophy - A manifesto for a radically new way of understanding cinema (London: Wallflower Press, 2006). 

Rudolf Laban, L'arte del movimento [ed. or. 1950], trad. Silvia Salvagno (Macerata: Ephemeria, 1999). 

Rudolf Laban, Choreutics, a cura di Lisa Ullmann (London: MacDonald&Evans Ltd., 1966).  

Aurelio Milloss, Coreosofia - Scritti sulla danza, a cura di Stefano Tomassini (Venezia: Leo S. Olschki, 2002). 

Alessandro Pontremoli, La danza. Stroria, teoria, estetica nel Novecento (Bari: Laterza, 2004).


15 agosto 2013

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